La cooling poverty è la povertà di raffrescamento: le ondate di calore stanno aumentando come intensità e durata, e stanno aumentando i tassi di mortalità causati dal calore eccessivo.
La povertà di raffreddamento
La definizione precisa di questo fenomeno è stata fornita da uno studio pubblicato lo scorso anno su Nature Sustainability, e condotto da un team di ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, della Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), dell’Università di Oxford e della London School of Hygiene & Tropical Medicine, che porta l’attenzione su questa nuova e rilevante forma di povertà.
Lo studio sulla cooling poverty ne evidenzia la natura multidimensionale e introduce il concetto di cooling poverty sistemica: la povertà di raffrescamento si definisce sistemica quando si sviluppa in contesti in cui gli individui, le famiglie e le organizzazioni sono esposti agli effetti dannosi causati dal sempre più crescente stress da calore, a causa soprattutto – e principalmente – di infrastrutture inadeguate.
Queste infrastrutture comprendono beni fisici, ovvero le soluzioni di riqualificazione energetica passiva, dispositivi tecnologici per il raffrescamento, catene del freddo; sistemi sociali, infrastrutture sociali e reti di supporto; risorse immateriali, cioè la cognizione che permette di adattarsi in maniera intuitiva agli effetti combinati di calore e umidità.
Antonella Mazzone, ricercatrice al dipartimento di antropologia e archeologia dell’università di Bristol e prima autrice dello studio, ha spiegato che il concetto di cooling poverty è presente da anni in letteratura e proviene da una serie di studi e indicatori che volevano misurare il comfort termico: negli anni ’70 dello scorso secolo nacquero i concetti di fuel poverty (povertà di carburante) ed energy poverty (povertà energetica) per descrivere la condizione di quelle famiglie che non riuscivano a riscaldare le loro case durante l’inverno. Sulla base di questi primi concetti sono stati costruiti vari indicatori – prima solo nei paesi del cosiddetto primo mondo, poi in quelli in via di sviluppo – per misurare il disagio in assenza di comfort termico.
Dal 2019 iniziano gli studi sulla povertà di raffreddamento, grazie al lavoro di alcuni ricercatori spagnoli, che hanno proposto il concetto di Summer Energy poverty per definire la deprivazione dei sistemi di raffrescamento durante il periodo estivo per le famiglie che vivono nell’emisfero settentrionale. Questo approccio, e gli approcci successivi, consideravano però quasi solamente le condizioni socioeconomiche delle famiglie e il possesso di sistemi di aria condizionata, escludendo gli altri fattori, materiali e immateriali, che vanno a definire il concetto di passive cooling. Il concetto di systemic cooling poverty sviluppato da Mazzone e coautori si allontana dagli indicatori di povertà energetica precedentemente considerati negli studi, tenendo conto del ruolo delle infrastrutture di raffreddamento passivo che non dipendono dall’utilizzo di apparecchiature termoregolatrici.
Sono state considerate 5 dimensioni della povertà di raffreddamento: clima, infrastrutture, reti sociali, salute e conoscenza. Ogni dimensione è caratterizzata da variabili, alcune delle quali sono cause della povertà di raffreddamento, altre invece sono conseguenze che vanno considerate in maniera unitaria: per esempio, per valutare la gravità della cooling poverty in una regione determinata non basta considerare il numero di persone che si può permettere l’aria condizionata, è necessario incrociare questi dati con i dati climatici, con la presenza di infrastrutture passive, e anche con l’incidenza di alcune malattie.
Le cinque dimensioni
La prima dimensione individuata da autori e autrici dello studio è il clima; il clima ha un impatto diverso sulla cooling poverty di una determinata area geografica rispetto a un’altra area geografica, non solo per le temperature medie ma anche a causa dell’umidità: tassi di umidità elevati possono aumentare il tasso di mortalità, soprattutto tra i soggetti più fragili, a temperature che invece sarebbero molto meno rischiose in un sistema di clima secco.
Il secondo parametro considerato è il cosiddetto comfort termico, che dipende dagli elettrodomestici in grado di raffreddare ambiente e cibi, dalle condizioni igieniche, dall’accesso all’acqua potabile, dalla qualità degli indumenti che si possiedono, dal livello di efficientamento energetico degli edifici e dall’assetto urbanistico.
Il terzo parametro riguarda le disuguaglianze sociali (genere, sessualità, etnia, livello di istruzione, reddito) e i modelli di segregazione residenziale, cioè quel fenomeno per cui le persone con caratteristiche demografiche simili tendono a stabilirsi negli stessi quartieri, acuiscono la cooling poverty. Le famiglie con redditi più bassi o appartenenti a minoranze etniche rischiano di subire maggiormente gli effetti dannosi del calore.
Il quarto parametro riguarda la salute, che ricomprende una serie di variabili che sono causa e/o effetto della cooling poverty. Si pensi per esempio ai tassi di mortalità infantile come conseguenza della mancanza delle infrastrutture passive (servizi igienici, possibilità di conservare i cibi al fresco); è importante poi sapere quali sono le categorie più a rischio in relazione alla loro condizione di salute: le persone già affette da alcune malattie cardiovascolari e respiratorie, ma anche da alcuni disturbi mentali e dal cancro, oltre che le donne incinte.
L’ultimo parametro riguarda il livello di istruzione e gli standard lavorativi delle persone: il capitale culturale è una risorsa immateriale fondamentale per potersi adattare all’aumento delle temperature.
Enrica De Cian, professoressa all’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatrice senior presso il CMCC, co-autrice dello studio, sottolinea come «il concetto ha molte importanti implicazioni politiche, in quanto evidenzia l’importanza di affrontare i rischi legati all’esposizione al calore con un coordinamento efficace tra diversi settori, come l’edilizia abitativa, la sanità, l’alimentazione e l’agricoltura, i trasporti». Questo nuovo indice potrà aiutare i governi a programmare in maniera tempestiva e in modo etico gli interventi di raffreddamento più utili e necessari.
Valentina Cimino