Mentre la Libia sta letteralmente colando a picco a causa dell’ennesima guerra civile (la terza dalla morte di Gheddafi), in Italia, come di consueto, si è aperto uno scontro in seno al governo relativo alla gestione dell’immigrazione che ne conseguirà. Matteo Salvini, ministro dell’Interno, spinge verso la chiusura totale dei porti, credendo che tale soluzione possa scongiurare qualsiasi flusso migratorio, Luigi Di Maio, stranamente più lucido da quando s’è accorto che il suo amico-nemico-alleato di governo gli sta rosicchiando l’intero elettorato, ha invece ribadito come chiudere i porti non serva a nulla.
Questa volta, però, non si tratta della possibilità di sfruttare l’arrivo di un barcone con cinquanta persone a bordo per fare campagna elettorale a costo zero. Si tratta, invece, di una crisi senza precedenti che potrebbe riportarci indietro di 28 anni, a quel famoso sbarco, a Bari, di 20mila albanesi che fuggivano dalla guerra civile provocata dalla caduta del comunismo nell’Europa dell’Est.
Il caso Sea Watch 3 e la rottura della linea dura sull’immigrazione
Un esodo biblico, circa 800mila sono i cittadini libici pronti a salpare per l’Italia (numeri smentiti dal Ministero degli Esteri ma riportati dalle agenzie di stampa internazionali), che sicuramente non potrà essere fermato chiudendo tutti i porti. A questo proposito, dopo aver dribblato un processo per sequestro di persona (caso Diciotti) grazie all’intervento, non organico, del Movimento Cinque Stelle che ha di fatto negato l’autorizzazione a procedere, Matteo Salvini ha tronfiamente annunciato di essere indagato, ancora una volta, con lo stesso capo d’accusa (assieme al premier Conte e ai ministri Di Maio e Toninelli), per il caso dei migranti della Sea Watch 3. Questa sarebbe stata trattenuta, con i migranti a bordo, nelle acque della baia di Siracusa per una settimana (dal 24 al 30 gennaio).
Ma non è l’unico grattacapo a cui Salvini deve far fronte. Questa volta, a causa dei vari litigi interni alla maggioranza, potrà davvero correre il rischio di essere processato. Infatti, a dimostrazione di tutta la scarsa simpatia di cui gode il leghista all’interno del governo, c’è, ad esempio, un recentissimo episodio relativo alle ingerenze esercitate da una direttiva proveniente dal Ministero dell’Interno e indirizzata non solo alla Polizia e ai Carabinieri, ma anche allo Stato Maggiore della Difesa, dipendente però dal Ministero della Difesa, e quindi da Elisabetta Trenta. La direttiva, per dovere di cronaca, fa riferimento all’obbligo da parte delle forze armate e di polizia di sbarrare la strada ad ogni barcone che cerca di mettere piede in territorio italiano.
I costituzionalisti si sono divisi sul fatto se ci fosse un’ingerenza o meno, poiché quando si tratta di sicurezza pare che il Ministro dell’Interno abbia molta libertà d’azione. Comunque, ciò che è saltato all’occhio è come anche il Ministro della Difesa, sulla questione “immigrazione” abbia un’idea totalmente diversa e opposta rispetto a Salvini. Infatti, stando alle ultime dichiarazioni, Elisabetta Trenta ha confermato che coloro che scapperanno dalla guerra civile in Libia saranno a tutti gli effetti dei “rifugiati“, come diritto internazionale vuole.
Uno dei capisaldi del Governo Conte, cioè la linea dura sull’immigrazione, sembrerebbe essere caduto.
Dal canto suo, Matteo Salvini non vuole sentire ragione e conferma, ancora una volta, la sua ferrea decisione di tenere chiusi i porti. Invece di cercare una soluzione comune e condivisa dall’intero esecutivo, che tenga conto dell’emergenza umanitaria in corso, il leader del Carroccio sbraita a destra e a manca, proponendo una soluzione inattuabile, poco veritiera e soprattutto disumana. Abbandonato anche dal premier Conte che in una recente intervista ha dichiarato della necessità di un intervento europeo per contenere quella che si presenta come una vera e propria crisi umanitaria.
Non solo immigrazione, in Italia manca anche una vera e propria politica estera
La situazione è disperata. Mentre in Libia il bilancio dei morti sale (sono circa 250 coloro che hanno perso la vita in pochi giorni, oltre 32mila gli sfollati), in Italia le due forze politiche al comando sono capaci di parlare solo per slogan. Manca una politica estera e di coordinamento, capace di esprimersi su quello che sta succedendo nel mondo.
Dalla figuraccia internazionale nei confronti del Venezuela, dove l’Italia è stata (ed è) l’unica nazione europea a non aver preso una posizione, alla Libia. In quest’ultimo caso, l’Italia sostiene il Presidente al-Sarraj che gode anche della legittimazione dell’ONU e della UE, ma ciò evidentemente non basta.
La Francia, pur sostenendo de iure il Presidente riconosciuto dalle istituzioni internazionali, de facto finanzia militarmente il suo avversario, Khalifa Haftar, fornendogli personale militare e fondi con cui continuare la guerra civile. L’Italia ha cercato di portare la questione davanti agli organi competenti, chiedendo il “cessate il fuoco”, ma per ora con scarsi risultati. Un provvedimento del Parlamento Europeo , proposto da Conte per scongiurare il pericolo “immigrazione di massa”, parerebbe aver ottenuto l’avallo di Germania, Svezia, Gran Bretagna e Olanda. Ovviamente, la Francia ha fatto muro, respingendo in toto il provvedimento.
Francia e Italia: gli interessi in gioco
Salvini, anche in questo caso, ha provato ad alzare la voce nei confronti di Parigi accusando Macron di tramare alle spalle dell’Italia. In effetti, in questo caso, il Ministro non ha tutti i torti. I francesi finanziano la controparte per poi poter scalzare direttamente l’Italia e i suoi interessi petroliferi dal Nord Africa. L’ENI è una delle multinazionali più presenti in Libia ed estrae più di 200mila barili giornalieri, contro i 60mila francesi. Macron questo lo sa e punta a prendersi la fetta italiana per arrivare, nel giro di alcuni anni, a 400mila estrazioni quotidiane.
Un programma geopolitico interessante, peccato che la democratica Francia sia pronta a sacrificare la vita di milioni di persone per raggiungere i suoi obiettivi. Programma, inoltre, che prevede anche l’indebolimento dell’Italia, quale primo vero porto sicuro e, di fatto, impegnato in prima linea nelle operazioni di soccorso.
L’intervento dell’Unione Europea è quanto mai necessario. Una politica migratoria comune, la quale dovrebbe in primis costringere anche gli altri Paesi a intervenire; gli stessi che si dichiarano “sovranisti” con i confini italiani, pronti ad attingere dai fondi UE senza mai restituire. Però, questo è il “modello”a cui si ispira Salvini, il quale ha addirittura offerto loro un’alleanza per le prossime elezioni europee.
Una posizione che non paga e che mette a rischio migliaia di vite umane
Dopo che Conte e Di Maio hanno preso le distanze dal modus operandi del loro alleato, Salvini è costretto a confrontarsi con la realtà dei fatti: la Libia non è più un porto sicuro. Non lo era neppure prima, ma ora è arrivata la conferma. Con una guerra civile in corso, il Ministro non potrà più sostenere la bontà della sua politica migratoria. Una posizione che, anche a livello di consenso, rischia di non pagare più. Per gestire un flusso migratorio di ampia portata, due motovedette e qualche dichiarazione al vetriolo non bastano.
Non basterà nemmeno il lancio di un nuovo slogan (l’arrivo dei foreign fighters dell’ISIS in Italia), usato solamente come “deterrente elettorale” visto che ancora non si ha conoscenza della vera entità del pericolo, a sottrarre Matteo Salvini dalle sue responsabilità di Ministro della Repubblica, il quale oltre che salvaguardare l’integrità dei propri concittadini, deve agire concretamente per garantire i diritti di coloro che, scappando dalla Libia, cercano un legittimo rifugio in Italia.
A questo proposito, ci si chiede se anche il decreto Sicurezza e immigrazione, avente l’obiettivo di ridurre la possibilità di ottenere permessi umanitari, possa trovare ancora spazio nel nostro Paese, chiamato a prendere posizione nei confronti di un’emergenza che a gran voce invoca la coscienza degli italiani.
Con un governo diviso sul da farsi, il rischio è che l’Italia si lasci sopraffare dagli eventi, facendosi trovare impreparata e incapace di reagire. Ci sono circa 800mila persone che guardano all’Italia, poiché una guerra ha messo a rischio la loro stessa sopravvivenza, e c’è un governo in crisi che sta palesando tutte le proprie difficoltà in un momento dove, invece, dovrebbe rispondere compatto a questa emergenza.
Alle porte della Tripolitania c’è il futuro non solo di questo governo, comunque incerto, ma anche quello dell’intero Paese.
Donatello D’Andrea