Il 24 febbraio 2022, in Ucraina è iniziata una guerra che vede le forze armate del paese contrapposte all’esercito russo. A prima vista, è possibile sostenere che l’ “hard power” è l’unico strumento attraverso il quale si sta combattendo questo conflitto. La Federazione Russa sta infatti esercitando il suo potere militare, come dimostrano i bombardamenti che hanno raso al suolo le città di Kharkiv, Kherson e Mariupol. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea, alleati dell’Ucraina, si stanno invece avvalendo del proprio potere economico, adottando pesanti provvedimenti sanzionatori, tra i quali si distingue la rimozione delle banche russe dalla Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT).
Tuttavia questo conflitto non si sta combattendo soltanto sul territorio ucraino, ma anche tra le narrazioni nazionali che riportano la guerra in modo contrapposto. Il “soft power” è infatti uno strumento a cui gli stati non possono rinunciare per vincere una guerra. Questo termine sta ad indicare la capacità di uno Stato di esercitare una certa influenza grazie all’uso di strumenti immateriali, come l’informazione, che creano un’immagine del conflitto propedeutica ai propri interessi nazionali. Pertanto, con “potere morbido” si intende la capacità di uno Stato di non arrivare a perseguire i propri interessi con l’esercizio della forza o della coercizione, ma attraverso la forza persuasiva di una narrazione. Andiamo perciò ad analizzare le tre differenti narrazioni che stanno caratterizzando il conflitto russo-ucraino.
La narrazione russa della guerra in Ucraina
Innanzitutto, c’é la retorica proposta – o meglio, imposta – dal Cremlino per vincere questa guerra. Innanzitutto, questo conflitto sta venendo presentato dai media russi come una operazione militare speciale, piuttosto che come un atto di aggressione militare ai danni dell’Ucraina. Questa terminologia del conflitto sta ad indicare che la Federazione Russa teme ripercussioni interne da parte della sua società civile. Questa paura è stata ampiamente confermata dalla censura imposta a tutta l’informazione russa che non stava raccontando la guerra come avrebbe voluto il governo di Mosca. Il potere centrale mostra attenzione per i termini scelti e per le immagini mandate in onda, i media non possono che supportare la versione governativa della guerra in atto, per evitare di incoraggiare le proteste nelle varie città russe.
Un altro termine molto utilizzato dal Presidente russo Vladimir Putin per giustificare questo conflitto è stato quello di “denazificare il paese”. A partire da Euromaidan e dallo scoppio del conflitto in Donbass, si sono diffuse in modo considerevole idee neonaziste in Ucraina, che hanno condotto alla formazione di gruppi paramilitari, come Pravyi Sektor e il Battaglione Azov. Tuttavia, come sottolinea Valigia Blu, la questione della “denazificazione” ingigantisce a dismisura un fenomeno politico reale ma più complesso, in modo tale da giustificare il conflitto. Il paradosso è che la cosiddetta denazificazione dell’Ucraina sbandierata da Putin potrebbe di fatto produrre effetti opposti ed inaspettati. Nel momento in cui gli ucraini percepiscono l’esercito russo come aggressore, essi sarebbero perciò indotti ad adottare dogmi di estrema destra per contrapporsi ideologicamente al nemico.
Putin ha definito l’Occidente come “L’impero delle bugie” accusandolo così di distorcere le vere motivazioni del conflitto. Per capire questa attribuzione è necessario ripercorrere gli anni della Guerra Fredda. Quando Putin era funzionario del KGB russo, il Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, soprannominò l’Unione Sovietica come “L’impero del Male”. Pertanto, il Presidente russo ha usato lo stesso termine per consumare una vendetta linguistica al momento giusto. Con questa affermazione, Putin sostiene che l’Occidente menta quando dichiara che la Russia ha avviato arbitrariamente queste ostilità, poiché sono stati gli ucraini a innescare il conflitto, con le violenze contro i residenti di etnia o di lingua russa del Donbass nel 2014. La Russia starebbe quindi semplicemente cercando di terminare ciò che era già in atto, in difesa del suo popolo.
La narrazione occidentale della guerra in Ucraina
A loro volta, gli Stati occidentali hanno definito l’aggressione russa senza mezzi termini come una vera e propria invasione militare dell’Ucraina, in violazione del diritto internazionale. Il comportamento aggressivo russo ha infatti minato la fiducia collettiva nei principi fondamentali su cui si basa l’intero sistema di Stati che da vita alla Comunità Internazionale.
Vladimir Putin ha giustificato l’aggressione sostenendo che il governo ucraino, entrando a fare parte della NATO, avrebbe minacciato in futuro l’esistenza stessa della Federazione Russa. Ma per l’Occidente questo non è una giustificazione valida, poiché il diritto internazionale consente l’uso della forza in qualità di legittima difesa solo contro un attacco armato è in corso oppure è imminente, non contro un potenziale attacco futuro.
Altra accusa che gli Stati occidentali muovono verso il Presidente russo è di carattere personale, ovvero lo accusano di essere immotivatamente paranoico. Questo stratagemma narrativo serve per incolpare il solo Vladimir Putin della guerra in corso, in modo da provare a convincere la società civile russa a distinguersi dal proprio governo e attuare un colpo di stato.
Tuttavia, come spiegato dal Ministro degli Affari Esteri russo, Sergej Lavrov, non è corretto imputare al solo Putin di soffrire di paranoia, poiché la paura di essere invasi è un tema che tormenta da molto tempo la classe dirigente russa e buona parte della popolazione. Per il Cremlino, le operazioni della NATO ai confini con la Federazione russa, hanno fatto riemergere il terrore di un’imminente invasione ai loro danni, proprio come avvenuto con Napoleone ad inizio XIX e con Hitler a metà del XX secolo.
Infine, i media e i politici occidentali hanno rafforzato miti di guerra tese da tenere alto il morale del popolo ucraino e indurre le società civili occidentali a supportarlo in maniera tenace. Come è possibile apprendere da Il Fatto Quotidiano, per esempio, i 13 soldati ucraini inizialmente dati per morti eroicamente sull’Isola dei Serpenti, non sono in realtà morti ma si sono arresi per mancanza di munizioni. Sempre lo stesso quotidiano, riporta che la storia del pilota ucraino capace di abbattere 6 caccia russi, celebrato come “il fantasma di Kiev”, potrebbe anch’essa essere un falso. Sarebbe in ogni caso quanto meno fuorviante considerare queste notizie come delle fake news, poiché sono informazioni che in certo qual modo contribuiscono ad alimentare un particolare immaginario collettivo del conflitto in corso.
La narrazione pacifista della guerra in Ucraina
Con il perdurare del conflitto, sta emergendo con sempre maggiore forza una narrazione pacifista, che potremmo definire “dal basso” poiché prodotta da parte della società civile. Gli aderenti alle varie manifestazioni di piazza che si stanno tenendo in Italia e in tutto l’Occidente non parteggiano né con Putin, né con la NATO.
Da un lato, essi non dimenticano infatti che Vladimir Putin ha sostanzialmente aggredito un popolo che fino all’altro ieri risultava essere libero di autodeterminarsi. Dall’altro, sostengono che se la Federazione Russa ha invaso l’Ucraina, la colpa è anche dell’irresponsabile e provocatoria espansione ad est portata avanti negli anni dalla NATO. La narrazione pacifista del conflitto è duramente messa a tacere dal Cremlino, ma sta incontrando ostilità e delegittimazione anche in Occidente.
Gli appelli per la pace sono stati di fatto promossi nella stessa Russia. Qui, tuttavia, le proteste hanno scatenato la dura repressione delle forze dell’ordine, provocando oltre 15mila gli arresti dall’inizio del conflitto. L’arresto che ha suscitato maggiore clamore mediatico è quello ai danni della giornalista Marina Ovsyannikova, colpevole di aver fatto irruzione durante il telegiornale russo del lunedì con in mano un cartello contro la guerra. Nei giorni scorsi, il Presidente Vladimir Putin ha firmato una legge che condanna ad una detenzione fino a 15 anni tutti coloro che vengono accusati di diffondere notizie false sulla guerra in Ucraina.
Manifestazioni contro la guerra si sono tenute anche nel resto d’Europa, dove si è ribadito di non voler vivere in un continente nuovamente diviso in blocchi contrapposti e segnato dalla costante minaccia della guerra. I pacifisti sostengono apertamente di rifiutare sia l’imperialismo occidentale che il nazionalismo espansionista russo. Per fermare il conflitto non si auspica l’imposizione di sanzioni o di armi alla resistenza ucraina. Al contrario, solamente la diplomazia riavvicinerebbe le parti e porterebbe alla pace.
Come già sottolineato, c’è chi critica aspramente la narrazione pacifista. I più agguerriti promotori del sostegno militare all’Ucraina, ritengono che essa finisca con il mettere sullo stesso piano colui che è stato aggredito e chi è invece l’aggressore, allontanando la pace piuttosto che avvicinarla, come dimostrato da importanti precedenti storici. Ci si riferisce, ad esempio, ai fatti del 1938, quando Inghilterra e Francia cedettero a Hitler la regione cecoslovacca dei Sudeti, che venne annessa al Reich, per salvare la pace. Come è evidente, l’appeasment non ebbe successo. Inoltre, si afferma che sostenere la resistenza ucraina vorrebbe dire evitare che un comportamento del genere rimanesse impunito, creando un precedente pericoloso a favore di altre potenze espansioniste. La loro è quindi a tutti gli effetti una chiamata alle armi, che infrange quella che considerano essere solo un’illusione di pace.
Il ruolo delle narrazioni
La logica delle narrazioni ci portano ad affermare che il conflitto in atto si sta combattendo anche attraverso le strutture compositive del racconto, che consentono di modellare gli atteggiamenti e le preferenze della società civile sul lungo termine. Stiamo assistendo infatti alla produzione di un vero e proprio ordine del discorso, ovvero alla modalità di comunicazione linguistica mediante cui si riporta un evento. Le spiegazioni interessate del conflitto hanno come fine quello di permettere all’opinione pubblica di accettare e sostenere le eventuali decisioni governative.
Il conflitto acquista coerenza solamente grazie al modo in cui viene divulgato, quindi il soft power è importante tanto quanto l’hard power per combattere la guerra in Ucraina. In sostegno ai propri governi e ai propri interessi, la maggior parte dei mezzi di comunicazione da entrambe le parti del conflitto sta così scegliendo minuziosamente le parole per raccontare la guerra, ed allo stesso tempo ne sta escludendo delle altre di proposito. Dunque, non esiste l’oggettività di un evento in contrapposizione a quella che dispregiativamente sta venendo sempre più spesso chiamata “propaganda di guerra”, ma solamente una convergenza di condizioni che rendono possibile una contingenza storica, le quali possono essere raccontate in vari modi, anche in contrasto tra loro.
Gabriele Caruso