Quasi del tutto sconosciute, le foreste di Polylepis crescono oltre i 5.000 metri sul livello del mare nella regione delle Ande e svolgono una funzione essenziale per la lotta al cambiamento climatico, la protezione della biodiversità e l’approvvigionamento d’acqua. Purtroppo, questo ecosistema unico e peculiare è in pericolo a causa della deforestazione con soli 500.000 ettari rimasti fra sei Paesi dell’America Latina: Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Cile e Argentina. Il progetto Acción Andina, mettendo in rete le comunità indigene locali, mira per i prossimi 25 anni a proteggere la foresta rimasta intatta e a ripristinare un’ulteriore porzione di alberi andata persa, pari a 500.000 ettari per un totale di un milione di ettari conservati.
Le foreste di Polylepis sulle Ande, essenziali contro il cambiamento climatico
Queste aree boschive sempreverdi si sviluppano ad altezze estreme e forniscono risorse importantissime per le comunità indigene che vivono sulle Ande, ma anche per l’intero ecosistema del pianeta. Difatti, è ormai appurata anche nel senso comune l’estrema interdipendenza globale, esemplificata dalla celebre domanda del matematico Lorenz: «Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?». In particolar modo, quando si parla di ambiente è impossibile non fare i conti con un ecosistema globale profondamente interconnesso.
Proteggere questo ecosistema dalla deforestazione significa assicurarsi per il futuro un alleato fondamentale contro il cambiamento climatico. Gli alberi di Polylepis sulla catena montuosa delle Ande hanno un ruolo ecologico di prim’ordine per due motivi principali: catturando anidride carbonica, riescono a mitigare il clima e a preservare i ghiacciai tropicali, allo stesso tempo le sue radici sono capaci di assorbire e immagazzinare l’acqua persino nelle stagioni secche. Inoltre, il muschio che si forma in questi alberi straordinari è estremamente assorbente ed è in grado di trattenere l’acqua sufficiente a trasformare i territori erosi e degradati in zone umide e dal terreno fertile. L’enorme quantità d’acqua dolce immagazzinata riesce ad alimentare persino il bacino amazzonico. Anche la biodiversità ne gioverebbe: la riforestazione fornisce un habitat ideale per quelle specie animali che si rifugiano dal cambiamento climatico, spostandosi sulle cime.
Il progetto di rimboschimento degli alberi di Polylepis sulle Ande si chiama Acción Andina ed è promosso dall’organizzazione no-profit Global Forest Generation in associazione con ECOAN (Asociación Ecosistemas Andinos), una ONG peruviana, che in 19 anni è riuscita a piantare 3 milioni di alberi in 16 aree protette per salvare gli ecosistemi e la biodiversità nella catena delle Ande. Non meno importante l’azione di questa iniziativa nei confronti delle comunità indigene, fra cui i discendenti degli antichi Incas di lingua Quechua.
La deforestazione e la lotta delle comunità indigene
La conservazione delle foreste di Polylepis permetterebbe alle comunità indigene che vivono nei sei paesi coinvolti da Acción Andina di poter godere di risorse fondamentali, come acqua e terre salubri. La deforestazione, insieme all’eccessivo sfruttamento del legname e l’espansione dei pascoli, ha infatti messo in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni sulle montagne andine.
Allo stesso tempo, l’iniziativa agevola la costruzione di una rete di comunità indigene che praticano l’antica tradizione “Ayni”, l’aiuto comunitario a beneficio reciproco, al fine di ripristinare le foreste più alte del mondo. Unendosi in assemblee comunitarie le popolazioni delle Ande decidono quali aree riforestare durante il corso dell’anno. Solo in seguito, i discendenti degli Incas di tutte le generazioni si incamminano sui ripidi sentieri di montagna per piantare insieme nuovi alberi. Esiste persino un festival a cadenza annuale in cui la comunità si impegna a piantare fino 100.000 alberi di Polylepis in un solo giorno.
La deforestazione e gli incendi hanno abbassato la qualità della vita degli abitanti delle Ande, aumentando il rischio di frane nei villaggi e diminuendo la capacità di approvvigionamento di acqua dolce. Per questo motivo, Acción Andina si ripropone non soltanto di contrastare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, ma anche di agire localmente con l’obiettivo di introdurre alcune pratiche sostenibili fra queste popolazioni remote e di aiutarle ad approvvigionare acqua, attività sempre più difficile anche a causa della scomparsa dei ghiacciai tropicali.
Le comunità indigene faticano, per esempio, ad accedere ai servizi sanitari e ai medicinali, mentre l’esposizione ai fumi tossici, dovuti ai tradizionali e inquinanti metodi di cottura delle pietanze, li espongono a cecità e problemi di vista. Diventa dunque essenziale la fornitura di combustibili alternativi per alimentare le stufe per gli abitanti dei villaggi sulle Ande, sostenendoli anche dal punto di vista tecnico e finanziario affinché possano adottare alcune pratiche di agricoltura sostenibile, ecoturismo e avviare microimprese. In sintesi, preservare le culture indigene significa proteggerle dai cambiamenti climatici, dallo sfruttamento eccessivo delle risorse per mano dell’uomo e dalla perdita di biodiversità.
Un’iniziativa positiva come questa non deve far dimenticare cosa sta succedendo in America Latina e la sua Foresta Amazzonica, il luogo da cui dipendono buona parte degli equilibri ecologici mondiali. In Brasile il presidente Bolsonaro, approfittando della Covid-19, ha attuato un vero e proprio piano per deforestare l’Amazzonia, incentivando l’accaparramento di terre e la diffusione di attività economiche fortemente inquinanti. Pure nel caso brasiliano come sulle Ande, gli indigeni hanno un ruolo fondamentale di guardiani della foresta, come attestato dall’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) che riconosce la lotta delle comunità locali contro il cambiamento climatico e la deforestazione. La dimostrazione che si può partire dal basso per ottenere risultati decisivi sul fronte della tutela ambientale.
Rebecca Graziosi