Limonov (fonte immagine: mymovies.it)

Limonov, il film di Kirill Serebrennikov, si ispira al romanzo biografico di Emmanuel Carrère, ma del romanzo di Carrère ha veramente poco.

Limonov (The Ballad)

Limonov è l’adattamento cinematografico del celebre romanzo omonimo di Carrère; il regista è uno dei registi più istrionici del panorama cinematografico, Kirill Serebrennikov, il più ribelle tra i registi russi, e che ha ereditato il progetto di Paweł Pawlikowski.

Del romanzo di Carrère, del personaggio Eduard della biografia dello scrittore francese, ha ben poco, quasi nulla. Se Emmanuel Carrère ha descritto un uomo che ha vissuto – con mille contraddizioni – mille vite diverse, un personaggio brutto, sporco, uno scrittore, un poeta, un truffatore d’amore, un sovversivo, un politico, nel film di Serebrennikov troviamo un personaggio scialbo, un uomo che subisce e non un uomo che affronta la vita.

Il racconto inizia in Russia, a Charkiv, poi si sposta a Mosca e arriva a New York, dove lo scrittore si trasferì nel 1975 dopo essere stato espulso dal proprio paese. E la differenza tra il titolo “Limonov” e il titolo originale “Limonov: The Ballad” qui diventa un abisso: il regista russo ha posto l’accento su una nuova vita, diversa, di Eduard “Eddie” Limonov, una vita lirica, una vita da musical, che passa attraverso una descrizione della Grande Mela piena di cliché, a tratti stucchevole, con i Velvet Underground in sottofondo, i richiami a Taxi Driver, il coro gospel, coreografie, scenografie. Una strana interpretazione del personaggio, che non è né quello reale né quello descritto da Carrère: è un nuovo soggetto, esule e dissidente, come esule e dissidente è il regista, ma Limonov non si è mai sentito esule, non si è mai sentito dissidente; ha vissuto centinaia di vite senza farsi sopraffare dalla disperazione, dai sentimenti, dalle donne, dalla disgrazia di essere uno scrittore e un poeta incompreso. Nel romanzo biografico abbiamo un Limonov che attraversa la storia della Russia, da Mosca a New York fino a Parigi, passando per il Donbass, i Balcani della guerra civile; nel film si racconta un uomo che cresce e diventa un artista sempre più eccentrico, fino all’ascesa politica. Ma non si racconta come. Una biografia molto poco biografica, un film dove Limonov si consuma fino ad arrivare alla distruzione, alla confusione e alla rinascita, quando diventa maggiordomo di un editore miliardario – entrando in contatto con altri scrittori russi. In Europa si radicalizza, torna in Russia come intellettuale e diventa antagonista politico, siamo alla fine dell’Unione Sovietica, nascono i Nazbol, lui viene accusato di terrorismo e incarcerato. Alla fine del film le didascalie ci dicono che Limonov è morto nel 2020 e dopo aver abbracciato la causa dei filorussi nella guerra del Donbass.

fonte immagine: unita.it

Questo racconto, questo film, più che narrare le vicende di un personaggio così scomodo, così commovente, così ripugnante, ma mai banale, mai scontato, sempre al limite della vita e delle possibilità che la vita offre, porta sullo schermo un uomo mediocre e che poco ha dell’artista folle che era lui nella realtà. Un’opera pop, una ballad appunto, che tra musica rock anni ’70, crisi amorose, droga, alcool, promiscuità – cose vere ma che non erano e non sono il fulcro della storia – diventano l’unica descrizione di Limonov.

Manca una scrittura forte, manca la caratterizzazione del protagonista, e non è bastata la partecipazione di Emmanuel Carrère (con un cameo nel film nella parte di sé stesso) nella stesura delle sceneggiatura. Il risultato è un musical? Moulin Rouge senza il can can, senza ballerine e senza elefanti, e con le scene di un po’ di Ogni cosa è illuminata (il film tratto dal romanzo di Safran Foer) e un po’ di un qualsiasi film americano degli anni ’70. Metà film potrebbe essere riassunto con “le avventure amorose di un aspirante scrittore”, che ben poco ha a che vedere con la grandezza del personaggio reale. Grandezza, sì, perché Limonov è stato un grande personaggio, pieno di contraddizioni.

fonte immagine: adelphi.it

Se Carrère tratteggia una personalità inafferrabile e incosciente, Serebrennikov ci restituisce un uomo a tratti ridicolo e un film davvero deludente; tanto è bello il romanzo, tanto è brutto il film. Non è un brutto film in assoluto: è un brutto film se hai letto il libro.

Valentina Cimino

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