Sabato 15 dicembre i gilets gialli sono tornati a scaldare le piazze francesi, ma verso le 18 le situazioni più tese a Parigi, Bordeaux e nelle altre maggiori città erano ormai placate. Era l’“atto” (come i gilets gialli sono soliti chiamare le ormai regolari azioni del sabato) quinto, che ha visto i numeri della mobilitazione in calo e ha registrato meno problemi di ordine pubblico.
I 66.000 francesi scesi in piazza sabato 15 dicembre sono stati la metà rispetto alla settimana precedente. Tuttavia i manifestanti, dimezzati a Parigi, sono rimasti costanti a Bordeaux. È lecito chiedersi quanto la settimana complicata – tra l’attentato di Strasburgo e le nuove misure sociali annunciate dal presidente Macron – abbia influenzato la partecipazione e, più a fondo, la tenuta del movimento stesso dei gilets gialli. Conviene dunque fare il punto della situazione per analizzare la portata e l’evoluzione di questo periodo unico che sta vivendo la Repubblica d’oltralpe.
L’importanza del web e le richieste dei gilets gialli
Il movimento dei gilets gialli ha un forte legame con il web: non solo per il successo mediatico, ma perché il web diventa il luogo di organizzazione delle azioni e di trasmissione delle informazioni.
Infatti, il movimento che ha preso le strade francesi a partire dallo scorso 17 novembre nasce, appunto, da una petizione online lanciata da Priscilla Ludowski, trentatreenne francese di Seine-en-Marne, che chiedeva l’abbassamento dei prezzi dei carburanti alla pompa – tutto ciò avveniva il 29 maggio 2018. La petizione ha raggiunto quasi un milione di adesioni in breve tempo.
Mesi dopo, il 10 ottobre, i due autotrasportatori Bruno Lefevre (che in seguito sparirà dal movimento) ed Éric Drouet lanciano un evento su Facebook per passare all’azione, chiamando un blocco nazionale il 17 novembre proprio contro il rincaro prezzi di benzina e diesel. L’evento rimbalza sul web fino a dare origine a tanti altri eventi locali, e nel passare dalla rete alle strade il risultato è quantomeno inatteso: il primo sabato di mobilitazione ha contato quasi 283.000 manifestanti su tutto il territorio nazionale.
Le rivendicazioni sono aumentate nel tempo, fino alla lista più recente trasmessa ai media a fine novembre, ma restano tutte principalmente legate all’incremento della protezione sociale (pensioni, salario minimo), a una politica per le classi popolari e medie (riduzione della pressione fiscale, agevolazioni per la piccola e media impresa, “una casa per tutti”) e a una riduzione dei benefici per le classi più agiate (salario massimo, imposta progressiva sul reddito e sulla fortuna). Il tutto viene inserito in un contesto piuttosto sovranista (no alle delocalizzazioni, integrazione linguistica e culturale obbligatoria per i rifugiati, protezione dell’industria francese).
Ma chi sono i gilets gialli?
Tuttavia non basta una serie di rivendicazioni per capire chi siano i gilets gialli. Probabilmente è anche inutile interrogarsi sulla precisa composizione del movimento a lavori in corso. E la spontaneità dei gilets jaunes, la capillarità e quasi improvvisazione di alcune loro azioni rendono il compito ancor più complicato.
Sebbene le aspirazioni politiche e istituzionali del movimento non siano del tutto chiare, esso irrompe nel sistema politico al di fuori dei cleavages politici classici. Niente di nuovo per l’Italia, forse, ma nella storia politica francese dagli anni ’70 la divisione tra repubblicani e socialisti ha dominato costantemente – almeno fino all’elezione di Macron nel 2016 e la conseguente entrata in Parlamento del suo “movimento” La Republique En Marche, che ha cercato fin dall’origine di rifuggire ogni categorizzazione a destra o a sinistra dello scacchiere politico.
Accade così che i gilets gialli siano incitati a scendere in piazza dalla sinistra più radicale di Jean-Luc Mélenchon e, al contempo, dall’estrema destra di Marine Le Pen. Tra gli arresti ormai regolari nei sabati parigini sono stati più volte identificati militanti di estrema destra i cui gruppi di riferimento, principalmente Action Française e Bastion Sociale, avevano chiamato i propri sostenitori a partecipare alle “sommosse” a fianco dei gilets gialli. All’interno dell’allerta violenza si rilancia anche, come spesso accade, l’allarme casseurs (i “rompitori”, letteralmente) ovvero coloro che vengono temuti ad ogni manifestazione da poliziotti e commercianti; ciò riapre, inoltre, la mai sopita questione dell’esclusione sociale di alcune banlieue.
Se si cercano risposte un po’ più definite, quantomeno a livello sociale, bisogna allargare l’analisi e portarla all’inizio del movimento. Il bacino del malcontento contro l’aumento del prezzo dei carburanti è radicato nella Francia centrale e in generale coincide con le zone più rurali, dove la benzina e il diesel vengono utilizzati quotidianamente in discrete quantità tanto per gli spostamenti tra paesi quanto per il rifornimento dei macchinari agricoli. Chiaramente questa ecotassa inciderebbe meno sulle tasche di chi abita città, soprattutto a Parigi e nelle grandi città dove i servizi di car sharing sono ormai totalmente ibridi o elettrici.
La protesta si è quindi ampliata alle aree urbane e ai primi picchetti sulle rotonde delle provinciali i gilets gialli hanno aggiunto le proteste nei punti nevralgici delle città, spesso bloccandoli. Allo stesso modo, la richiesta iniziale di bloccare il prezzo dei carburanti si è trasformata in una richiesta al Presidente della Repubblica di farsi da parte, al grido “Macron démission” che riecheggia spesso nelle piazze francesi in quest’ultimo mese.
Una classe media che si sente abbandonata e una fascia di popolazione più povera che è stata realmente abbandonata stanno guidando questa collera, sui grandi numeri pacifica, ma che ha anche dimostrato di poter traboccare facilmente. All’interno dei cortei parigini si trovano studenti, pensionati, liberi professionisti e operai; c’è chi viene dalla città, chi dai paesi in provincia e chi da altre aree ancor più lontane.
Je prends ma part de cette responsabilité. E ora?
Nel momento di massima espansione, a fine novembre, i gilets gialli hanno provato a strutturarsi con otto rappresentati autoeletti. Ma è il movimento stesso che si è presto svincolato da questa rappresentanza, non dando grande seguito a questa iniziativa. Non a caso l’incontro con il primo ministro Édouard Philippe programmato per inizio dicembre a Matignon è stato atteso solo da uno degli otto (a questo punto ex-) rappresentati del movimento.
Dopo aver definitivamente soppresso il 5 dicembre il progetto di legge sull’ecotassa che avrebbe penalizzato il consumo dei carburanti tradizionali, Macron è apparso nelle case dei francesi lo scorso lunedì, in una diretta alle 20 nella quale ha annunciato nuove misure sociali per ristabilire la pace sociale e calmare le proteste.
Per la prima volta il Presidente ha riconosciuto che i disegni di legge da lui portati avanti recentemente possano aver ferito alcuni tra i suoi cittadini. Le proposte maggiori espresse da Macron in questi 13 minuti puntano a un aumento di 100€ del salario minimo (a quasi 1300€), alla riduzione delle imposte sulle pensioni sotto i 2.000€, al versamento esentasse di un premio e degli straordinari a partire dal 1° gennaio 2019.
La Francia e il futuro incerto
Non è ancora chiaro quanto le nuove misure di Macron, che passeranno presto al vaglio del Parlamento in un decreto proposto dal governo, possano davvero ottenere l’effetto auspicato dal Presidente. I numeri di chi protesta per le strade sono diminuiti nelle ultime settimane, ma non sembra tuttavia un fenomeno facilmente governabile né prevedibile. Soprattutto finché l’attenzione mediatica nazionale, ma non solo, rimane così alta e costante.
Macron si trova ad un momento chiaramente decisivo del suo mandato: le sue iniziative dovrebbero soddisfare buona parte delle richieste formali dei gilets gialli, ma se il movimento continuerà a protestare anche dopo queste proposte bisognerà chiedersi se all’origine del tutto vi sia solo un aumento di cento euro del salario minimo oppure un cambio politico di più ampia portata. La mobilitazione di sabato 22 dicembre, primo giorno delle vacanze di Natale, sarà forse un primo tassello utile a chiarire questi dubbi.
Ad oggi è certo che la nuova fondamentale richiesta dei gilets gialli è cambiata e si chiama RIC (referendum di iniziativa cittadina), una sorta di referendum popolare la cui creazione viene chiesta immediatamente. I cambiamenti portati avanti nelle piazze sono evidentemente più di carattere istituzionale che legati al singolo disegno di legge. Per quanto imprevedibile, il futuro della Francia sembra indicare l’imminente esplosione di un disagio assai profondo e radicato.
Lorenzo Ghione