In Italia, dopo neanche un anno e mezzo dall’insediamento dell’esecutivo a guida Mario Draghi si è aperta l’ennesima crisi di governo. Gran parte di questa situazione è da attribuire alla scissione del Movimento 5 Stelle, dato che la fuoriuscita della corrente “governista” guidata da Luigi Di Maio ha lasciato campo libero all’ala “movimentista” all’interno della creatura di Beppe Grillo. Pertanto, liberi da interferenze interne, i parlamentari grillini guidati da Giuseppe Conte hanno votato contro il decreto Aiuti. Di conseguenza, dopo tre giorni, venuto meno l’appoggio trasversale su cui faceva affidamento il Parlamento, ovvero la principale caratteristica del governo di “unità nazionale”, è stata votata la sfiducia parlamentare verso il governo Draghi. Il Movimento 5 Stelle ha così compiuto un vero e proprio assist in favore di Fratelli d’Italia, prima forza d’opposizione.
Giorgia Meloni non ha mai creduto al senso di responsabilità assunto dalla coalizione di larghe intese, tanto da essere stato il suo l’unico partito a posizionarsi all’opposizione. Una scelta, quella di Fratelli d’Italia, che sembra stia venendo premiata con il passare del tempo, poiché i sondaggi vedono questa forza politica come primo partito: il gradimento degli elettori si mantiene stabile al 22,4%. Contando così sul sostegno dell’opinione pubblica, Fratelli d’Italia ha spinto per andare alle elezioni anticipate e si dichiara pronto a governare.
Tuttavia l’azione di tiro dall’esterno di Fratelli d’Italia ha generato tensione tra i suoi alleati di centro-destra. Incerti fin dal principio, Forza Italia e la Lega avevano dichiarato di poter accettare un nuovo governo con alla guida Mario Draghi, ma solamente senza il Movimento 5 Stelle. Non bisogna infatti dimenticare che Silvio Berlusconi e Matteo Salvini sono entrati nel governo per contrastare la coalizione progressista. Dunque, se le loro motivazioni sono state guidate dalla mancanza di fiducia verso i grillini, la loro vera intenzione era quella di provare a spaccare l’alleanza tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, mantenendo i primi all’interno della coalizione di governo e lasciando i secondi al di fuori di essa. In questa ottica si comprendono gli sforzi del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, per confermare Mario Draghi e allo stesso tempo ricucire lo strappo con il Movimento 5 Stelle.
In un primo momento, un consistente numero di parlamentari di Forza Italia e le correnti più moderate interne alla Lega, avevano richiamato i propri partiti a ritornare sui loro passi, data l’importanza del Pnrr per il tessuto industriale nazionale e più in generale per l’intero Paese. Diversamente da Fratelli d’Italia, essi hanno tenuto in seria considerazione che con la caduta del Governo, svariate misure avrebbero potuto subire drastici rallentamenti, a causa della mini-legislazione che avremmo avuto fino a nuove elezioni. Quella di vitale importanza è senza alcun dubbio la partita sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che per l’Italia vale in tutto 191,5 miliardi di euro. Una volta varate le norme generali, la fase operativa – in parte già in atto – è molto delicata: i programmi devono essere trasformati in azioni concrete.
A fare da vera e propria guida a questo gruppo sono stati i ministri di questi partiti, dato che non intendevano andare al voto anticipato. I ministri sono figure scelte dal Presidente Mario Draghi, nel novero di figure vicine alle forze che lo hanno sostenuto, ma diverse da quelle che il partito avrebbe identificato se avesse avuto libertà di scelta. Chi riveste la carica di ministro nutre la possibilità di continuare a governare perché è spesso estraneo, e a tratti anche critico, con le dinamiche in seno al partito di appartenenza. Del medesimo parere era anche buona parte dei sindaci e dei governatori del centro-destra, i quali si sono mostrati favorevoli alla permanenza del Presidente Draghi. Costoro hanno espresso infatti la loro fiducia verso l’attuale esecutivo, avendo istallato rapporti diretti con gli attuali ministri, ovvero dei canali privilegiati che non intendevano perdere.
Fino all’ultimo minuto c’è stato così il tentativo di tenere il governo in vita, sforzo che però non è riuscito perché la maggior parte dei parlamentari di Forza Italia e della Lega, alla fine, hanno spinto per andare ad elezioni anticipate. Essi hanno ritenuto che rimanendo ancora al governo, sarebbe continuata l’attività di logoramento esterno portata avanti da Fratelli d’Italia che gli avrebbe sottratto altri voti preziosi. Da questa valutazione è nata la volontà di andare alle urne a ottobre, ora che il centro-destra ha la concreta possibilità di vittoria. É scoppiato così lo scontro tra le diverse anime all’interno degli stessi partiti. Il caso di dissenso più clamoroso è quello della ministra Mariastella Gelmini, che ha pubblicamente accusato alcuni senatori di Forza Italia di aver voluto la caduta del governo, scontrandosi di conseguenza con la senatrice del suo stesso partito, Licia Ronzulli.
Dato che il sistema elettorale ha il compito di agire da filtro tra la società civile e le istituzioni politiche influenzando la composizione delle alleanze politiche, la formazione delle attuali coalizioni è dovuta principalmente ad un sistema elettorale misto che tende a garantire la governabilità piuttosto che la rappresentatività. Nelle condizioni attuali, i partiti politici possono concorrere insieme per raggiungere determinati interessi solo coalizzandosi. Ne consegue che tra partiti alleati ci possano essere diversità di vedute su singole tematiche oppure su strategie politiche da mettere in atto, dato che non sono legati tra di loro da una comune base valoriale. Questo vale tanto per i partiti a destra dello spettro politico, tanto per quelli posizionati a sinistra.
Nonostante abbia votato la sfiducia, alla fine dei conti la coalizione di centro-destra rimane divisa al suo interno. Partendo dalle elezioni del Presidente della Repubblica fino alla votazione della fiducia al governo Draghi, passando per le recenti elezioni amministrative a Verona, sembra oramai chiaro che questa coalizione sta insieme per necessità politiche dettate dalle congiunture attuali, piuttosto che per la condivisione dei tanto decantati valori comuni. Se l’intesa di centro-sinistra al momento non si distingue così per unità d’intenti, quella di centro-destra non gode di sorte migliore. Un possibile futuro governo formato da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia non sarebbe più stabile rispetto a quelli che l’hanno preceduto, poiché le contraddizioni interne prima o poi verrebbero a galla.
Gabriele Caruso
Condivido la delineazione e lo smascheramento delle strategie partitiche volte unicamente all’ ipotetico recupero e incremento di aree di consenso.
Questo tipo di democrazia, con la classe di rappresentanti che e’ in grado di esprimere, sembra arrivato al capolinea.
Giorgia Meloni, fervente sovranista, appare davvero come il capo ideale di un futuro governo che avrà il compito di garantire la corretta gestione del PNRR erogato dall’ Unione Europea, soprattutto ora che il suo grande amico e sostenitore, Steve Bannon, già consigliere di Trump, è stato condannato per l’ assalto al Congresso USA.
Che Dio, qualora interessato all’ argomento, ci aiuti.