Carla Capponi è stata una protagonista indiscussa della Resistenza italiana, in particolar modo per la sua militanza partigiana nella capitale. Capponi fu una delle tante partigiane che contribuirono a liberare il Paese dal nazifascismo. Purtroppo, però, ancora oggi il ruolo delle donne nella Resistenza viene dimenticato o non ricordato adeguatamente; questa specie di damnatio memoriae ha fatto sì che di molte si perdesse notizia e che di altre ci giungessero informazioni incomplete o limitate.
Proveniente da una famiglia borghese e antifascista di origine marchigiana, Carla Capponi fu costretta ad abbandonare gli studi di Giurisprudenza in seguito alla morte del padre: per contribuire al bilancio familiare esercitò la professione di segretaria. Iniziò ad avvicinarsi al Partito Comunista Italiano grazie ad un’amica che le chiese il favore di ospitare una riunione comunista presso casa sua; fu così che casa Capponi divenne un importante luogo di ritrovo per la militanza comunista antifascista dove venivano redatte copie clandestine de L’Unità.
A seguito delle sue frequentazioni comuniste, Capponi decise di prendere parte attiva alla Resistenza e divenire una partigiana a tutti gli effetti. Iniziò la sua militanza durante gli scontri di Porta San Paolo: qui l’attività della partigiana, il cui nome di battaglia fu Elena, era incentrata esclusivamente nel soccorrere i feriti. Ma Capponi volle contribuire ancora di più alla Resistenza. All’inizio, infatti, le vennero affidati esclusivamente compiti di sorveglianza, soccorso e staffetta, come a tutte le donne: per i GAP (Gruppi di Azione Patriottica) era sconveniente che le donne usassero le armi e dunque riservavano loro funzioni di appoggio. Capponi non volle soccombere a questa regola e, pur di procurarsi un’arma, decise di rubare la pistola a un militare della Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr) a bordo di un autobus molto affollato. La partigiana Capponi non esitò mai ad usare le armi, come quando nel 1944, a seguito dell’omicidio di Teresa Gullace, puntò la sua pistola contro un militare tedesco; per questa sua azione venne arrestata dai nazifascisti ma la partigiana riuscì a convincerli della sua estraneità ai fatti.
Delle varie azioni a cui prese parte Carla Capponi, quella che ebbe una eco più grande fu l’attentato di via Rasella. Tale azione consistette nel far esplodere un ordigno improvvisato contro il battaglione del Polizeiregiment Bozen. L’ordigno venne nascosto in un carro della spazzatura e fatto esplodere da Rosario Bentivegna, futuro marito di Capponi, il quale si era travestito da spazzino: il compito della partigiana fu quello di aiutarlo a scappare, una volta compiuta l’azione, coprendolo con un impermeabile. L’esplosione provocò la morte di trentatré militari tedeschi e alcuni civili. L’attentato di via Rasella provocò la rabbia di Hitler e scatenò la risposta tedesca, ovvero l’eccidio delle Fosse Ardeatine: Hitler ordinò che per ogni tedesco morto venissero uccisi dieci italiani.
Al termine della guerra, Carla Capponi fu insignita della Medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: «Partigiana volontaria ascriveva a sé l’onore delle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo d’avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia dell’abitato della città di Roma. Con le armi in pugno, prima fra le prime, partecipava a decine di azioni distinguendosi in modo superbo per la fredda decisione contro l’avversario e per spirito di sacrificio verso i compagni in pericolo. Nominata vice comandante di una formazione partigiana guidava audacemente i compagni nella lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento. Ammalatasi di grave morbo contratto nella dura vita partigiana, non volle desistere nella sua azione fino a fondo impegnata per il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù del tutto degna delle tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano».
Nel dopoguerra Capponi venne eletta per due volte alla Camera dei Deputati con il Partito Comunista Italiano e fu membro prima della Commissione Difesa e poi della Commissione Giustizia. Ha fatto parte del comitato centrale dell’ANPI fino al 2000, anno della sua morte. Poco prima della sua morte è stato pubblicato Con Cuore di Donna, il libro in cui Capponi racconta la sua vita da partigiana protagonista della Resistenza.
Martina Quagliano