«SpaceX? Non ne ho mai parlato con Musk» ha dichiarato Giorgia Meloni alla conferenza stampa organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dall’Associazione stampa parlamentare, che per la seconda volta consecutiva si svolge a gennaio, nonostante sia soprannominata “conferenza di fine anno”. Circa 350 domande, su tutti gli argomenti possibili e immaginabili ma con al centro le ultime importanti vicende di politica interna, le dimissioni di Elisabetta Belloni da capo del Dis, e internazionali, come la liberazione di Cecilia Sala e le voci su un possibile accordo (in dirittura d’arrivo, secondo alcune fonti) fra il governo italiano e Space X, l’azienda di Elon Musk che si occupa di alta tecnologia e in particolare del progetto “Starlink“, cioè di quei satelliti che hanno innanzitutto un impiego strategico e militare in ottica delle comunicazioni.
Durante la conferenza stampa, Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fortemente negato l’esistenza di qualsiasi interlocuzione diretta con l’imprenditore sudafricano e, ovviamente, di qualsivoglia trattativa o accordo con la sua azienda pur ammettendo che qualche interlocuzione c’è stata: «SpaceX ha illustrato al governo la tecnologia di cui dispone, che consente comunicazioni in sicurezza a livello nazionale e soprattutto planetario, e per noi significa soprattutto garantire comunicazioni sicure nel rapporto con le sedi diplomatiche e con i contingenti militari all’estero, che sono molto delicate. Si tratta di interlocuzioni che rientrano nella normalità. Decine di aziende si propongono per cose più disparate, poi si fa l’istruttoria, e se la cosa è di interesse si pone nelle sedi competenti. In questo caso gli ambiti con cui confrontarsi sono molti, dal Consiglio supremo di difesa fino al Parlamento. Ma siamo nella fase istruttoria, non capisco tutte le accuse che sono state rivolte». Insomma, qualcosa c’è ma, secondo il Presidente del Consiglio, è ancora lontano dall’essere definitivo.
Non è un segreto il rapporto privilegiato, almeno sulla carta (stampata e non) fra il capo del governo, l’eccentrico imprenditore – futuro capo del Doge, un dipartimento del governo americano per la semplificazione amministrativa – e lo stesso Donald Trump. Un rapporto che in molti definiscono “rose e fiori” come dimostra anche l’incontro a Mar-a-Lago, il quartier generale del nuovo Presidente americano, e le successive vicende che hanno portato alla liberazione della giornalista italiana. Ovviamente coltivare relazioni diplomatiche così forti e solide è un diritto-dovere di ogni capo del governo ma quando ci sono gli “affari” di mezzo tutto assume una sfumatura ben diversa, soprattutto quando si toccano temi iper-sensibili come la sicurezza nazionale.
Musk non è solo un imprenditore
Durante la conferenza stampa, il Presidente Meloni, oltre a smentire l’esistenza di un accordo con la nota azienda di satelliti di Elon Musk, ha anche rincarato la dose sottolineando come i giornali italiani (e non, dato che l’indiscrezione dell’accordo è stata lanciata da Bloomberg) le stiano cucendo addosso una “lettera scarlatta” a causa del suo rapporto d’amicizia con l’imprenditore sudafricano. D’altronde, per lei, il futuro capo del Doge non è altro che un “ricco che esprime opinioni, come Soros“.
Al di là dell’eterno ritorno di Soros come nemesi di ogni rappresentante politico della destra nazionale, in realtà, approfondendo la questione, Elon Musk non può essere semplicemente liquidato come una persona facoltosa che si esprime politicamente. Sicuramente è un imprenditore privato, con aziende di successo alle sue spalle, ma è anche il proprietario di un social, X, che usa per diffondere la sua “verità” riguardo a politici e governi di suo gradimento e, soprattutto, nei confronti di quelli che gradisce meno. Possiede un patrimonio di 400 miliardi di dollari, così tanti da far impallidire anche il neo-presidente americano, Donald Trump. Inoltre, le sue aziende contribuiscono alla supremazia strategica e militare degli Stati Uniti nei confronti del suo rivale più acceso, la Cina. Il valore di Elon Musk, infine, si misura anche sulla base della posizione che andrà ad occupare nel prossimo governo statunitense. Una legittimazione politica che rappresenta la ciliegina sulla torta circa l’assunto che Musk non sia un “ricco come gli altri”, anzi.
Un’altra questione, poi, questa volta di cronaca dimostra ampiamente quanto l’imprenditore non sia semplicemente un “ricco che parla di politica”. La Cina, infatti, avrebbe intenzione di vendere TikTok allo stesso Musk, con cui ha ottimi rapporti, proprio per soddisfare le garanzie di sicurezze richieste per continuare ad essere accessibile negli Stati Uniti. Una mossa del genere non è liquidabile solamente come un’iniziativa economica ma avrebbe anche delle implicazioni politiche importanti. Per ora, Pechino smentisce (e non potrebbe nemmeno confermare, in realtà) ma non sono un mistero i buoni uffici che il Ceo di Tesla e Space X intrattiene con il governo di Xi Jinping.
Assodato ciò, il peso di Elon Musk è ben diverso da quello di un comune imprenditore, anche per il settore al centro della trattativa con il governo italiano, ovvero quello delle informazioni. Lo scoop di Bloomberg parla di un contratto da 1,5 miliardi di euro della durata di cinque anni. Nello specifico, l’accordo prevederebbe la fornitura di un sistema di crittografia di alto livello per i servizi telefonici e internet utilizzati dalle istituzioni, al fine di rendere inaccessibili le proprie comunicazioni. Le fonti, parlano di servizi per l’esercito italiano nel Mediterraneo e l’installazione del cosiddetto servizio direct-to-cell da utilizzare in caso di emergenze quali attacchi terroristici o disastri naturali. Al centro dell’accordo, ovviamente, chi fornisce questo servizio: è Starlink, utilizzata oggi da milioni di persone in tutto il mondo per accedere a Internet con connessioni satellitari. Agli usi militari, poi, si affiancherebbero anche quelli civili, portando questo servizio nelle regioni e nei territori in cui la ricezione del segnale è molto più debole, come nel Sud Italia.
Space X e i rischi per l’Italia
Secondo Bloomberg le trattative sarebbero in fase piuttosto avanzata, avendo trovato l’approvazione dei servizi segreti italiani e della Difesa. Nonostante la posizione ufficiale del governo Meloni, il quale è anche fra i principali sostenitori del progetto antagonista di Space X, cioè di Iris 2, un sistema satellitare di connettività sicura dell’Unione Europea che prevede, entro il 2030, il lancio di ben 290 satelliti. Un’alternativa a Space X, così è stata presentata dai giornali. In realtà si tratta di un progetto davvero recente, ancora in fase embrionale e il cui esito è ancora da vedere. Iris 2 non rappresenta (ancora?) un’alternativa credibile a Space X, forse potrebbe esserlo fra 5 anni. Nonostante l’Unione Europea non abbia criticato apertamente la possibilità che l’Italia stringa un accordo con Elon Musk, voci di corridoio fanno intendere che Bruxelles non abbia gradito e non gradisca tuttora l’apertura del governo Meloni all’imprenditore sudafricano.
Una conseguenza, questa, a cui è seguita anche una strana coincidenza – perché solo di coincidenza si può parlare – come quella delle dimissioni del capo del Dis, i servizi segreti di Palazzo Chigi, Elisabetta Belloni, successivamente al lancio della notizia dell’accordo fra il governo Meloni e l’azienda di Musk. In realtà, come spiegato dalla stessa ex direttrice del Dis, le dimissioni risalirebbero allo scorso 11 dicembre, giorno in cui l’Italia ha assunto la guida del G7 e sarebbero imputabili ai cattivi rapporti con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e il sottosegretario con delega ai servizi, Alfredo Mantovano.
Un buco nella sicurezza, che è stato riempito subito dopo con Vittorio Rizzi, vicedirettore dell’AISI, ma che aumenta i sospetti, se non sul caso in sé, sulle modalità con cui ciò è avvenuto. Giorgia Meloni vantava un solidissimo rapporto di stima con l’ex direttrice dei servizi di Palazzo Chigi e per questo motivo le sue dimissioni fanno più rumore del solito.
Mettendo da parte le voci di corridoio e concentrandoci sugli effetti reali e visibili dell’accordo, non è un segreto che affidare le comunicazioni governative ad un privato cittadino, con un futuro incarico politico in una nazione diversa, non potrebbe essere sicuramente considerata come una mossa virtuosa. L’azienda fornirebbe un servizio di crittografia delle informazioni, ma nessuno è in grado di assicurare che la dirigenza non conosca i sistemi per decifrare queste informazioni e, quindi, accedere ai dati sensibili. In teoria, se la crittografia è end-to-end, il provider non riesce a leggere nulla. Di fatto, però, ci sono i metadati, che dicono molto. Soprattutto, il provider può fare da man-in-the-middile, cioè affermare che soltanto il mittente e il destinatario possono leggere i dati, ma in pratica non è così.
La situazione è molto complessa e soprattutto pericolosa. Il presunto accordo, smentito da Palazzo Chigi – e questo va ribadito per onestà intellettuale – avrebbe non solo implicazioni politiche rilevanti, non solo sul governo Meloni, ma soprattutto dal punto di vista internazionale. Con l’Unione Europea alla finestra e in sostanziale disaccordo per l’attivismo governativo italiano nei confronti dell’imprevedibile e istrionico imprenditore sudafricano e l’affidamento di dati sensibili nelle mani di un’azienda privata, il cui proprietario farà parte di un esecutivo di un Paese alleato, ma anche con chiari interessi divergenti da quelli italiani ed europei.
Solitamente, per infrastrutture strategiche di questo tipo, non ci si rivolge a fornitori esteri bensì ad alternative interne, italiane, o almeno, europee. D’altronde si sta parlando di difesa nazionale, ed è tutt’altro che “sovranista” lasciare ciò alle “bizze” di un privato, come Musk.
Donatello D’Andrea