Igor’ Fëderovic Stravinskij, autore de La sagra della Primavera, è nato a Orianebaum presso Pietroburgo nel 1882, figlio di un famoso cantante del teatro imperiale di San Pietroburgo, si approccia già all’età di nove anni allo studio del pianoforte. Successivamente frequenta i corsi universitari della facoltà di giurisprudenza ma dal 1903 sino al 1908 intraprende da allievo gli studi musicali con il compositore russo Nikolaij Rimskij-Korsakov, ed è in questo periodo che Stravinskij pubblica le sue pregevoli composizioni giovanili: Sinfonia in mi bemolle, Le faune et la bergère, Feu d’artifice, Scherzo Fantastique.
La svolta nella sua carriera avviene nel 1908 grazie all’incontro con il famoso impresario Sergej Diaghilev, poiché costui in quanto fondatore e direttore della compagnia dei Ballets Russes a Parigi, propone a Igor’ Stravinskij una collaborazione e gli commissiona la partitura del suo primo capolavoro: L’oiseau de feu.
Stravinskij s’afferma come compositore di straordinario talento e come innovatore del linguaggio musicale, da quel momento in poi soggiorna sovente a Parigi per dedicarsi a tempo pieno all’attività di direttore d’orchestra e di pianista. Nel 1911 porta alla luce un’altra mirabile opera: Petruška; in cui s’avvertono sia le influenze di Čajkovskij, Skrjabin e Debussy, sia gli elementi folkloristici tradizionali della musica popolare russa.
Ma è durante la primavera del 1912 che Igor’ Stravinskij termina la composizione della sua opus magnum: Le sacre du printemps (La sagra della primavera).
Scrive Stravinskij nelle sue Cronache: «Un giorno, in modo assolutamente inatteso giacché la mia mente era occupata da cose affatto diverse, intravidi nell’immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, osservano la danza di morte di una vergine che essi stanno sacrificando per propiziarsi il Dio della primavera. […] Al tempo della Sagra non sapevo niente della tradizione accademica, ma sapevo come dovevo scrivere La Sagra. Combinazioni di suoni vennero al mio orecchio e il cervello disse: scrivi! La Sagra passò attraverso me».
Storia d’un capolavoro
La sagra della primavera è un’opera d’importanza capitale sia per la letteratura musicale sia per il divenire della musica stessa. Il 29 maggio del 1913 a Parigi irrompe nel mondo della musica con una potenza d’impatto senza precedenti. L’urto è veemente e inatteso. La musica che esprime Stravinskij non solo è avulsa da ogni precetto scolastico e tradizionale della musica classico-romantica ottocentesca; ma è in eclatante e iconoclastico contrasto con le consolidate norme grammaticali e gli atavici canoni estetici dell’epoca.
Tale composizione di Igor’ Stravinskij è la rappresentazione vivida della spontaneità priva di riferimenti dominanti, ed è attraverso ciò che il compositore russo s’afferma come artista empirico e anti-tradizionale par exellence. Egli è totalmente immerso nella concretezza delle sensazioni uditive.
Igor’ Stravinskij incarna il modus operandi del genio, ossia colui che non inventa e non crea bensì svela e rivela delle realtà altre, occulte, che esistono all’infuori di sé e che si palesano come durante un atto di rabdomanzia. Egli vuole porsi nella posizione dell’artigiano medievale, il quale febbrilmente ordina, fabbrica con i materiali a sua disposizione, immerso nel fascino del materiale sonoro che può maneggiare a proprio piacimento, non strumentalmente, ma come fine a se stesso.
Dunque, dalle profondità dell’inconscio giunge a Igor’ Stravinskij, in modo inaspettato e indomabile, l’immagine di un locus amoenus dove i saggi antenati degli uomini praticano un rito in cui si propizia Larilo, divinità associata alla natura e al sole nella mitologia slava, col sacrificio umano auspicando che il magnifico Dio fiammeggiante consenta il ritorno d’una feconda primavera nel segno della prosperità e della rinascita. Quindi La sagra della Primavera è una sequela di ritualità dell’antica Russia pagana, e in essa si coagulano energie primordiali, viscerali e sublimazioni pagane.
Tutto ciò, in un contesto storico-sociale imbevuto di positivismo, ha scandalizzato gran parte della raffinata e suggestionabile platea – eccetto Debussy, Ravel, D’Annunzio, parte dell‘intelligencija e della stampa parigina – presente alla prima rappresentazione nel théâtre des Champs-Élysées, a tal punto da insorgere durante lo spettacolo architettato magistralmente e provocatoriamente da Igor’ Stravinskij, dall’impresario Diaghilev, dal direttore d’orchestra Pierre Monteaux, dal pittore e scenografo Nikolaj Roerich e dal ballerino e coreografo Vaclav Nižinskij. L’opera viene definita inizialmente da alcuni critici musicali «Massacro della Primavera»; ciò però non ne ha leso l’inestimabile valore anzi ne ha accresciuto l’importanza fino a poterla considerare successivamente una delle composizioni più rivoluzionarie del XX secolo.
Morfologia del capolavoro di Igor’ Stravinskij: La sagra della Primavera
La sagra della Primavera è suddivisa in due quadri: L’Adorazione della terra e il Sacrificio, ognuno dei quadri è suddiviso in sei sezioni. L’opera ha una dimensione diegetica anti-soggettiva, dunque la narrazione si sviluppa tramite un intero gruppo sociale che vortica mediante varie cerimonie attorno al mistero dell’improvviso sorgere del potere creatore della primavera. Quindi musicalmente il principio dinamico fondamentale diventa così il ritmo – spesso ostinato e dissonante – e la notevole varietà timbrica degli strumenti a fiato e delle percussioni.
Stravinskij compie una rottura rispetto al linguaggio sinfonico tedesco sia adoperando delle reinterpretazioni – in chiave alienante – delle melodie slave, sia adoperando dei modi a-sinfonici, ossia dei blocchi sonori tra loro dissonanti e con sovrapposizioni politonali, che nell’insieme generano un antagonismo esasperato ed esplosivo in modo da scatenare un reiterato crescendo musicale travolgente.
L’Adorazione della terra si apre con il celeberrimo assolo in registro acuto di fagotto, su una melodia popolare lituana, mentre gli altri strumenti a fiato svolgono dei motivi brevi, rievocando dei richiami ultraterreni. Fin dal principio Igor’ Stravinskij instaura un’atmosfera di arcaica staticità che trasmette il turbamento suscitato dalle diuturne forze cosmiche della metamorfosi.
Nella prima sezione dell’opera di Igor’ Stravinskij Gli auguri primaverili (l’arrivo dei sacerdoti e degli indovini), v’è una un’atmosfera angosciante dovuta all’accentazione irregolare e un andamento sussultante che rimandano a un impulso inarrestabile. Tuttavia, la pulsazione sequenziale si rallenta grazie ai clarinetti che danno voce a una melodia popolare russa in onore della primavera, un chorovod, che dona austerità e poeticità alla danza.
Nella sezione successiva dell’opera di Igor’ Stravinskij Gioco del rapimento, combaciano una struttura ritmica lineare e una struttura metrica irregolare in modo da rendere icastico l’antagonismo degli elementi in scena (l’inseguimento dei rapitori e la fuga della vittima scarificale). Tale alternanza si ripete, con l’aggiunta del chovorod, anche nella quarta sezione: Danze primaverili. Mentre nelle tre sezioni: Giochi delle tribù rivali, Danza della terra e Cerchi misteriosi delle adolescenti, v’è inizialmente una marcata discordanza tra la tessitura ritmica e quella armonica, per poi giungere a dei picchi di estrema forza centrifuga che chiudono la prima parte con l’esplosione di un caos primordiale. Successivamente v’è una sublime e glaciale poliritmia che crea un clima d’attesa sacrificale, sino a concludersi in una breve, ipnotica e rarefatta acquiescenza, poi interrotta da un forsennato accelerando percussivo.
Il culmine dell’opera è ne La Glorificazione dell’Eletta, sezione costituita da una folgorante potenza sonora e da una brusca e altalenante ritmicità, mentre le successive parti: Evocazione degli antenati e Azione rituale degli antenati, acquisiscono una relativa stabilità grazie a un inquieto andamento processionale di carattere taumaturgico. Volge al termine la danza sacrale della vittima designata a morire per propiziare il rinnovarsi della primavera.
Nel finale, Danza sacrificale dell’Eletta, l’intensità sonora di alcuni strumenti si contrappone alla massa sonora orchestrale mentre i registri strumentali realizzano contrasti timbrici paradossali. L’impetuosità ritmica raggiunge un parossismo orgiastico ed estatico che contrassegna il carattere barbarico del rito. Da tale atrocità nasce una sorta di euforia vitale dovuta alla rivelazione dell’enigma della rinascita e alla dolorosa consapevolezza del sempiterno ciclo della vita e della morte scandito dalle immutabili leggi della natura.
Nel complesso La sagra della Primavera è un’opera arcaica, straniante e polisemantica; altresì pone in evidenza una brutale realtà dialettica e sineddochica, ovvero l’eterno conflitto tra singolarità e pluralità. La sua tecnica compositiva prodigiosamente abile, la sua spregiudicatezza nell’assimilare qualsivoglia suggestione culturale, qualsivoglia tradizione musicale, costituiscono il suo gioco speculativo e geniale.
Stravinskij rimescola continuamente il materiale sonoro col fine di originare un puro gioco di forme che incrementa o digrada il pàthos dell’ascoltatore, nonostante lui stesso consideri la musica impotente a esprimere qualsiasi cosa. Dunque ne deriva una musica ostica, sferzante, drammatica e tensiva che inevitabilmente colloca il fruitore nel divenire trascendente dell’istante al di là della percezione spazio-temporale.
L’unità dell’opera – risultante d’una costruzione in cui tutte le parti concorrono a formare il tutto – diviene simbolo di un’altra unità d’ordine superiore: il risuonare della musica appare come un elemento di comunicazione con l’Essere.
«Per sua natura la musica non può spiegare niente: né delle emozioni, né dei punti di vista, né dei sentimenti, né dei fenomeni della natura. Essa non spiega che se stessa». (I. Stravinskij)
Gianmario Sabini
Affascinante ed esaustiva analisi. Mi ha obbligato ad ascoltare più e più volte l’opera per seguirne gli sviluppi. Una sola osservazione: La traduzione italiana del titolo francese è incongruo e fuorviante; ” sacre ” non è ” sagra ” che richiama una festa paesana ma ” sacrificio ” come più correttamente traducono i Tedeschi. Grazie e complimenti. Sergio