Home Ambiente Soia e deforestazione: quando l’alimentazione si basa sulla distruzione della natura

Soia e deforestazione: quando l’alimentazione si basa sulla distruzione della natura

Soia - deforestazione
Fonte immagine: www.forbes.com

Gli ecosistemi forestali – si legge all’interno dell’ultima edizione del rapporto sullo Stato delle Foreste nel Mondo – ricoprono il 31% della superficie terrestre, ma non sono distribuiti equamente in tutto il mondo. Più della metà delle foreste mondiali si trova, infatti, in soli cinque paesi: Federazione Russa, Brasile, Canada, Stati Uniti e Cina. A dispetto del ruolo vitale svolto dalle foreste – in termini di mezzi di sussistenza, sicurezza alimentare, conservazione della biodiversità e non ultimo, come ha recentemente dimostrato la pandemia di coronavirus, in termini di salute umana – esse sono costantemente minacciate dall’eliminazione della vegetazione arborea. Questo fenomeno, che prende il nome di deforestazione, ha comportato, a partire dal 1990, la perdita di 420 milioni di ettari di foreste.

Diverse le cause della deforestazione, ma il suo motore principale è rappresentato dall’espansione agricola. Secondo le stime, infatti, l’agricoltura commerciale su larga scala ha causato il 40% della deforestazione tropicale tra il 2000 e il 2010. Preceduta solo dall’allevamento del bestiame, la coltivazione della soia ha costituito – e ancora costituisce – il principale driver agricolo della deforestazione. È di appena qualche settima fa la notizia dell’attracco ad Amsterdam della Pacific South, una nave mercantile proveniente dal Brasile con un carico di oltre 100.000 tonnellate di soia. Si tratta, per la precisione, del più grande carico mai sbarcato nell’Unione Europea che, non a caso, è seconda solo alla Cina come mercato d’arrivo per i prodotti che causano deforestazione. Questo significa che, più o meno consapevolmente, i cittadini dell’Unione Europea favoriscono una pratica che mette a rischio uno degli ecosistemi più preziosi del nostro Pianeta: la foresta amazzonica.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Science, “Le mele marce dell’agribusiness brasiliano”, rivela che un quinto della produzione brasiliana per il mercato europeo proviene dall’abbattimento fuori controllo e illegale di alberi situati in Amazzonia e nel Cerrado. Condotto da un team internazionale di ricercatori guidato da Raoni Rajão e Britaldo Soares-Filho dell’Universidade Federal de Minas Gerais, lo studio dimostra che circa 2 milioni di tonnellate di soia contaminata potrebbero essere state destinate ai mercati dell’Unione Europea nel periodo coperto dallo studio (2008 – 2018). Il blocco europeo acquista dal Brasile un ammontare pari al 41%, circa 13,6 milioni di tonnellate, di tutta la soia che importa.

Da qui la necessità di una legislazione internazionale che tuteli un territorio che viene disboscato illegalmente per far posto alla coltivazione della soia, destinata prevalentemente all’alimentazione degli animali domestici per la produzione di carne. Proteggere l’Amazzonia dalla deforestazione significa anche proteggere il futuro del nostro Pianeta. L’Amazzonia, infatti, assorbe da 150 a 200 miliardi di tonnellate di carbonio e contribuisce al mantenimento di quell’equilibrio climatico che diventa ogni giorno più instabile.

La deforestazione non è, però, l’unico fenomeno provocato dall’aumento della domanda mondiale di soia. Quest’ultima, infatti, produce anche un notevole impatto in termini di trasporto e di logistica, con la soia che viaggia per centinaia di chilometri su gomma dai luoghi di produzione ai porti e poi, ancora, per migliaia di chilometri in mare, prima di raggiungere i paesi di destinazione. Inoltre, la riconversione delle foreste da beni multifunzionali a piantagioni monoculturali, minaccia la biodiversità tipica degli ecosistemi forestali e mette a rischio lo stile di vita di intere popolazioni indigene, che assistono impotenti alla sottrazione di quello che è il loro habitat naturale.  

«È essenziale che l’Europa utilizzi il suo potere commerciale e di acquisto per contribuire a invertire lo smantellamento della tutela ambientale in Brasile. Bruxelles ha finalmente le informazioni necessarie sull’entità del problema legato alla soia e alla carne bovina». Queste le parole di Rajão, uno degli autori dello studio summenzionato. Ma oltre che a un livello istituzionale, la tutela ambientale dovrebbe essere promossa anche, e forse, soprattutto a livello individuale. In un mondo governato dalle regole di mercato, in cui nemmeno la natura sembra riuscire a sottrarsi alla mercificazione di ogni cosa, noi individui sembriamo altrettanto incapaci di sottrarci alla nostra identità di consumatori. Forse, solo la consapevolezza che l’acquisto di ogni prodotto nasconde un retroscena fatto di sfruttamento della natura, usurpazione delle terre, violazione dei diritti umani, potrà indurci a scelte di consumo più responsabili e sostenibili. Fino ad allora saremo anche noi responsabili indiretti di pratiche sconsiderate e dannose per il benessere del nostro Pianeta.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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