Il Calcio è fatto di momenti, di emozioni, di decisioni – corrette ed errate – e di coincidenze. Ieri sera in Lazio-Inter si è visto tutto questo, nel quadro generale di una partita emozionante anche per i non tifosi delle due squadre. Il Calcio è lo sport più bello del mondo, e la partita di ieri ne è una testimonianza concreta. Il Calcio, però – sempre lui -, nella sua ineguagliabile bellezza, è anche un concetto relativo: perché se è vero che per i tifosi dell’Inter, inebriati dall’incredibile impresa, questo sport ha rappresentato (ieri più che mai) la quintessenza del piacere, è altrettanto vero che i tifosi della Lazio ricorderanno la partita di ieri come uno dei peggiori harakiri della propria storia.
Ma la straordinarietà del ”pallone” risiede nella sua stessa natura, talmente imprevedibile da risultare scontata. Come si dice del resto: ”oggi a me e domani a te”. La sconfitta di ieri della Lazio fa il conto con l’eliminazione all’ultima giornata del Napoli nella corsa Champions di qualche stagione fa, quando Higuaín, proprio contro i Biancocelesti, scagliò il rigore decisivo al terzo anello (salvo poi farsi perdonare l’anno successivo con ”appena” 36 reti). In maniera quasi speculare, l’Inter invece si è trovata a rimontare il risultato di 2-1 così come aveva fatto la Juventus ai suoi danni qualche settimana fa. È un sistema di pesi e contrappesi, che solo un meccanismo superiore può regolare. Qualcosa che eccede la disponibilità umana, che prescinde dai dettami tattici che gli allenatori vogliono imporre. Ed è proprio grazie a questo meccanismo fatale che le pagine del romanzo calcistico continuano a riempirsi di storie nuove, tanto emozionanti quanto tristi. Si può dire che la mano umana venga strumentalizzata in modo da definire delle traiettorie precise: e così Inzaghi toglie Immobile, unica punta in grado di tenere la squadra alta, per inserire Lukaku, terzino di spinta. La stessa mossa (perdente), manco a dirlo, di Spalletti contro la Juve. L’errore di dare per scontata la vittoria di una partita a cui mancavano venti minuti prima di potersi dichiarare conclusa. L’errore che condanna all’oblio del fallimento la Lazio e i suoi giocatori. Tutti, tranne uno. Sì perché Stefan De Vrij, l’arcigno numero 3 biancoceleste, l’anno prossimo la massima competizione europea la giocherà, e anche da protagonista.
Ieri sera all’Olimpico si è consumato il delitto perfetto, frutto di un misto di tutte quelle caratteristiche del Calcio di cui si parlava all’inizio. Decisioni sbagliate, coincidenze, momenti. Anche nella partita di De Vrij – che è stata una narrazione nella narrazione – c’era tutto questo. E probabilmente anche di più. L’Olandese si è voluto regalare – e gli è stato concesso di farlo – una serata speciale, la più emozionante della sua carriera. Il problema è che nel perverso gioco di emozioni che è andato in scena a Roma ci è rimasto intrappolato. Il suo scopo, dei più nobili senza dubbio, era quello di dimostrare la sua professionalità, così da riparare ad un errore che possiede più di un autore: l’annuncio della firma con un altro club a stagione non ancora conclusa. Sarà stata la società nerazzurra, sarà stato il giocatore, ma una dinamica del genere non dovrebbe mai verificarsi, e purtroppo i precedenti sono molteplici. Perché poi capita – come accaduto ieri – che il giocatore in questione sia una colonna portante della squadra che si appresta a lasciare, e che si stia andando a giocare l’obiettivo stagionale con la squadra che si appresta ad accoglierlo. Un disastro: il prologo di un dramma sportivo ed umano. Una tragedia che il miglior Euripide non avrebbe saputo inscenare.
Quando provi a macchiarti di Ubris ne esci sconfitto, e l’ex Feyenoord ha voluto ufficialmente sfidare a duello il Dio del Calcio, millantando spavalderia e superiorità. Così fu: rinvio di Strakosha, Vecino (eroe della serata) intercetta, palla a Eder che di prima mette Icardi davanti al portiere. A quel punto è già tutto deciso. De Vrij si getta su Icardi per provare l’intervento in extremis ma prende solo la gamba. Calcio di rigore: il finale si sa già. Eppure, fino a quel momento Stefan era riuscito nel suo intento, dimostrando professionalità attraverso una conduzione oculata della sua gara. Avrebbe decretato l’uscita dalla Champions della sua prossima squadra, ma sarebbe stato ricordato a Roma come un eroe e sarebbe stato accolto a Milano come un giocatore su cui fare completo affidamento. Ora viene accolto a Milano da eroe, e lascia la sua Lazio con l’appellativo di ”venduto” stampato addosso. Magari in un altro contesto quell’intervento sarebbe andato a buon fine, e il difensore sarebbe ricoperto delle lodi dei suoi tifosi. Ora, però, De Vrij se ne va da Roma con più infamia che lodi, con una Champions da giocare ma una sconfitta che brucia forte nel cuore, e che forse mai verrà recuperata.
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Vincenzo Marotta