La Francia tra Macron e Le Pen (e Mélenchon) elezioni presidenziali
Fonte immagine: Wikipedia Commons/Jacques Paquier

Domenica 10 aprile si è tenuto il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia, uno dei più attesi appuntamenti elettorali dell’anno. Come ampiamente prevedibile, servirà un ballottaggio per decretare il vincitore della contesa. Questo si terrà il prossimo 24 aprile e vedrà opporsi l’attuale Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, e la leader di Rassemblement National, Marine Le Pen. I due si erano già affrontati nel 2017, cioè quando l’ex banchiere trionfò con il 66% dei suffragi. Da allora le cose sono cambiate e, secondo molti osservatori, Le Pen questa volta avrebbe qualche possibilità in più di portare a casa la partita, nonostante i sondaggi siano quasi certi della vittoria del leader di En Marche.

A contendersi l’Eliseo, oltre a Macron e Le Pen, c’erano altri dodici candidati. Molti di loro non hanno superato il 10%, tra cui l’ex giornalista di estrema destra Eric Zemmour che ha ottenuto il 7,1%, Valérie Pécresse candidata dei Repubblicani, cioè gli ex gollisti, e Anne Hidalgo, sindaca di Parigi e candidata dei socialisti. Questi ultimi due nomi, che rappresentavano i partiti tradizionali del bipolarismo francese, hanno raccolto rispettivamente appena il 4,7% e l’1,7%. Una disfatta: i due partiti esprimevano regolarmente le principali cariche dello stato fino al 2017. E poi c’è lui, Jean-Luc Mélenchon, candidato del partito di sinistra La France Insoumise che ha ottenuto il 22%, equivalente a 7 milioni di voti, circa 400mila in meno di Marine Le Pen. Per il ballottaggio del 24 aprile, gli occhi sono puntati su di lui e su ciò che faranno i suoi elettori.

Le urne hanno sancito la nascita di tre fronti, e non due come il ballottaggio lascerebbe erroneamente intendere. Non solo Macron e Le Pen, ma anche Mélenchon. E, soprattutto, non solo la partita delle elezioni presidenziali. Il vero scontro si avrà per avere la maggioranza dell’Assemblea Nazionale, cioè quei numeri che consentiranno al governo di lavorare. In questo contesto giocherà un ruolo importante il “terzo blocco” capeggiato dall’ex socialista che con i suoi consistenti suffragi si erge a baluardo di una nuova sinistra per la Francia e l’Europa.

Elezioni presidenziali: sarà scontro tra Macron e Le Pen, di nuovo

Il presidente Macron arriva al secondo turno di queste elezioni presidenziali forte di un convincente 27,84% dei voti espressi. Ciò significa che, rispetto al 2017, ha ottenuto un milione di voti in più. In una tornata elettorale in cui la partecipazione è scesa dal 77,8% al 73,7% – ci si aspettava di peggio – le nuove preferenze per il Presidente uscente acquistano un valore maggiore.

La campagna elettorale di Macron è stata una non-campagna. Ha atteso a lungo il colpo di scena, cioè la sua ricandidatura ufficiale. Per molto tempo questa è stata data per scontata, almeno fino al tre marzo quando con una lettera ha chiarito che non avrebbe potuto condurre una campagna elettorale “a causa del contesto“. Una scelta intelligente, studiata a tavolino dallo stesso Presidente e dai suoi consulenti. L’obiettivo era chiaro: Macron, in qualità di Capo dello stato non ha tempo per inserirsi all’interno della rissa elettorale, la sua è una figura istituzionaleche si occupa di problemi seri“. Così facendo il Presidente ha mantenuto immacolata la sua immagine e ha usato a pieno la sua posizione politica – senz’altro di forza – per smarcarsi con facilità dal caos elettorale.

L’incessante lavoro dello staff di Macron ha fornito all’opinione pubblica della Francia l’immagine di un Presidente alla costante ricerca della stabilità del continente europeo. Il suo attivismo non è passato inosservato, così come le sue quattordici conversazioni telefoniche con Putin tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Dopo ogni telefonata il servizio comunicazione dell’Eliseo pubblicava un comunicato stampa con il contenuto delle conversazioni. Nel testo di una di queste, pubblicato anche dai giornali, si legge come Macron abbia risposto per le righe a Vladimir Putin dicendogli di “smettere di mentire a sé stesso“. Una frase molto forte, significativa, da pari a pari. Perché rendere pubblico questo scambio? Per dimostrare come il Presidente in carica sia in grado di stare in mezzo ai grandi senza farsi intimidire.

Poco importa se quelle telefonate alla fine si siano rivelate fallimentari, Macron è riuscito comunque nel suo obiettivo di attirare quanti più voti possibili recuperandoli dai socialisti moderati e soprattutto dalla destra che nel 2017 aveva votato per il repubblicano Francois Fillon. L’appoggio di Nicolas Sarkozy non è nient’altro che il punto di arrivo di una vincente strategia di assorbimento della destra moderata.

Dall’altro lato della barricata, a contendersi l’Eliseo, c’è Marine Le Pen. La crescita di Rassemblement National è sotto gli occhi di tutti: dai 6,4 milioni di voti del 2012 agli 8,1 milioni di questa tornata. Il risultato è ancor più significativo se si considera che, prima del voto, si credeva che la discesa in campo dell’ex giornalista di estrema destra Eric Zemmour l’avrebbe danneggiata. Invece così non è stato, il polemista ottiene il 7% e nella sua recente dichiarazione di voto, ha affermato che appoggerà Le Pen al secondo turno di queste elezioni presidenziali. I suoi punti di forza sono gli ex bacini industriali, la valle del Rodano e della Garonne, il litorale mediterraneo e il sud della Francia. Tra gli operai Le Pen tocca il 42%, staccando tutti gli altri partiti.

Come strategia elettorale, Le Pen ha scelto di fare leva sullo scontento del “72% dei francesi” che hanno votato contro Macron, un tentativo di convogliare la contestazione e il rigetto che la figura del Presidente solleva presso una parte della popolazione. Rispetto al 2017 ora l’estrema destra ha gli strumenti per farlo dato che gode della più alta esposizione mediatica mai avuta. Al contrario, il Presidente punta sulla certezza che gli elettori francesi, anche quelli che non l’hanno votato al primo turno, si rivolgano a lui in nome della tradizionale ritrosia a scegliere un candidato di estrema destra all’Eliseo. Le Monde considera questa strategia come «un’assicurazione sulla vita che non c’è più».

In effetti, rispetto al 2017, Marine Le Pen ha lavorato molto sulla sua immagine, insistendo sulla figura della “donna di stato“, sulla forma e sulla narrazione del suo programma elettorale. Ha assunto un atteggiamento più moderato e sobrio, trasformando la formazione politica che la sostiene da “movimento di eccessi” a partito istituzionalizzato. I temi restano gli stessi ma è cambiato il modo con cui vengono presentati all’elettorato. Un’operazione di immagine che potrebbe risultare vincente.

Mélenchon, il terzo incomodo

La sfida tra Macron e Le Pen, ha un terzo incomodo: si tratta del sopracitato Mélenchon che per una manciata di voti non accederà al secondo turno. Ma dopo la cocente delusione, sintetizzata efficacemente dalle parole dello stesso ex socialista sul palco del quartier generale della France Insoumiseè inutile mentirsi, è una grande delusione»), è emersa la consapevolezza di essere diventati la formazione egemone della sinistra francese. La France Insoumise di Mélenchon è riuscita a sedurre le banlieues, le grandi aree periferiche degli agglomerati urbani francesi. Un esempio è la Seine-St-Denis, la periferia nord di Parigi, una delle zone più povere e popolose del Paese dove ha raccolto quasi il 50% delle preferenze contro il 34% del 2017. FI sfonda anche nelle città, come a Lille, Tolosa e Marsiglia.

Mèlenchon è anche il candidato preferito dei giovani 18-34, seguito a grande distanza da Le Pen e da Macron che, invece, è il preferito degli anziani. Tra le categorie socio-professionali, FI è seconda dietro a Le Pen tra gli operai e gli impiegati, confermando la stessa tendenza delle elezioni presidenziali 2017. Il suo programma racchiude temi di grande importanza sociale come l’inserimento nella Costituzione di diritti legati al fine vita, il salario minimo a 1400 euro e la ricostruzione del servizio sanitario nazionale. Un programma considerato populista e radicale dalla stampa moderata – che ha associato i suoi voti a quelli per Zemmour – ma che in realtà ricalca i temi classici della sinistra europea.

Prospettive di un’inedita instabilità politica in Francia

Va sottolineato che sia l’area della “nuova sinistra” di Mélenchon che quella di estrema destra di Le Pen appaiono impermeabili al “fascino elettorale” di Macron. I bacini da cui il Presidente “né di destra né di sinistra” ha attinto i suoi voti sono stati prosciugati. I due partiti tradizionali, che assieme hanno raccolto meno di due milioni di voti, non hanno saputo rinnovare la loro offerta elettorale e sono stati tratti in inganno dai buoni risultati ottenuti a livello locale. Al contrario, sul fronte nazionale la politica ambigua di Macron, che ha strizzato l’occhio a sinistra e virato verso destra, ha portato alla formazione di due blocchi che hanno assorbito quello che restava dei poli moderati.

Il quadro che emerge rende altresì evidente che lo spazio di manovra per l’attuale Presidente appare molto ristretto. Il fronte repubblicano, che è sempre stato un argine all’estrema destra in Francia, non esiste più. Di conseguenza i voti di Mèlenchon diventano fondamentali. Ma anche in caso di vittoria al secondo turno delle elezioni presidenziali, Macron dovrà fare i conti con una luna di miele tormentata dallo spettro del voto legislativo. Più che un vincitore, l’attuale inquilino dell’Eliseo potrebbe uscire dalle urne con una vittoria di Pirro. Un’inedita instabilità politica farà il suo ingresso anche nella Quinta Repubblica francese?

Donatello D’Andrea

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