«Vai, stupra le donne ucraine, te lo permetto, ma non dirmi niente. (…) Sì, hai il mio permesso, ma usa le protezioni.»
Attimi di silenzio seguiti da risate.
Questo breve scambio di battute avvenuto in circa 30 secondi fra un soldato russo e sua moglie è l’emblema del dolore e dell’orrore che l’operazione “speciale” di Putin sta causando a migliaia di donne ucraine, già distrutte da una guerra che ha raso al suolo un intero Paese.
Le parole sono state registrate dai servizi segreti ucraini e grazie al lavoro di un team investigativo e della squadra per le inchieste del servizio ucraino è stato possibile rintracciare la coppia, poi contattata attraverso il numero di telefono utilizzato per registrarsi sui social network. Roman e Olga però, hanno negato di esser loro i protagonisti di questa triste e spregevole vicenda.
Tuttavia, quella dello stupro a danno delle donne ucraine non è solo una becera ipotesi. Diverse sono infatti le testimonianze di stupri che negli ultimi tempi stanno emergendo grazie al coraggio di chi ha saputo trasformare il dolore in parole, in richieste d’aiuto. Melinda Simmons, ambasciatrice britannica in Ucraina, a tal proposito ha dichiarato che «è chiaro che (lo stupro) era parte dell’arsenale russo. Donne stuprate davanti ai propri figli, ragazzine davanti alle famiglie, come atto deliberato di sottomissione.»
Natalya (nome di fantasia) è stata la prima donna a parlare, raccontare, denunciare. L’orrore si è consumato il 9 marzo nella sua casa poco fuori Kiev. «Mi hanno detto di togliermi i vestiti. Mi hanno violentata uno dopo l’altro. Non gli importava che mio figlio fosse nel locale caldaia a piangere. Mi hanno detto di farlo tacere e di tornare. Tutto il tempo mi hanno tenuto la pistola puntata alla testa. Faresti meglio a tacere o prenderò tuo figlio e gli mostrerò il cervello di sua madre sparso per casa.» Dopo lo stupro Natalya è riuscita a scappare insieme a suo figlio.
Anna (nome di fantasia) ha 50 anni e il suo incubo ha avuto luogo il 7 marzo in una casa abbandonato per mano di un soldato ceceno alleato delle forze russe. «Mi ha minacciato con una pistola e mi ha portata in una casa vicina. Togliti i vestiti o ti sparo. Continuava a minacciarmi di uccidermi se non avessi eseguito i suoi ordini. Poi ha iniziato a stuprarmi.» Tornata a casa, ha trovato suo marito con una ferita alla pancia, punito per aver provato ad inseguire e salvare sua moglie. Non essendo stato possibile un ricovero in ospedale, l’uomo è morto due giorni dopo ed è stato sepolto in cortile.
La guerra, che ancora prosegue senza alcuna esitazione da parte del presidente russo Vladimir Putin, è stata considerata un crimine contro l’umanità a causa delle migliaia di vittime e delle armi utilizzate. Un evento drammatico che ha stravolto le vite di tutti: corpi di persone uccise invadono le strade testimoniandone l’orrore; famiglie costrette ad abbandonare le proprie case, ad assaltare le metropolitane per trovare rifugio; persone costrette a fuggire con i soli affetti più cari; uomini costretti a separarsi dalle proprie famiglie perché chiamati a combattere, a prestare servizio militare in difesa della propria terra; giovani costretti a rinunciare e abbandonare sogni, progetti e ambizioni. Una realtà a cui mai nessuno vorrebbe assistere, che mai nessuno vorrebbe vivere.
Ma a questo dolore, se ne aggiungono altri. In primis, lo stupro delle donne ucraine che nasconde molteplici atroci significati. Esso infatti simboleggia la conquista, il dominio assoluto non solo del territorio ma anche dell’intimità delle donne del nemico, condannato ad osservare impotente e ad essere ucciso nel vano tentativo di opposizione e resistenza. È un barbaro massaggio di supremazia.
A fronte di ciò, sono state avviate numerose proteste. Davanti all’ambasciata russa in Lituania e in Estonia, la protesta ha visto donne seminude, con del sangue finto sul proprio intimo e sul fondoschiena, ed una busta di plastica della spazzatura sulla testa, per manifestare contro lo “stupro di massa delle ucraine”, dichiarando come «in Ucraina, i soldati russi stanno stuprando e uccidendo donne e bambini innocenti. Le persone che appoggiano questa invasione stanno anche appoggiando i crimini di guerra.»
Inoltre, tra le terribili conseguenze di tale atto vi sono le gravidanze indesiderate, a cui fa seguito il negato diritto all’aborto. «Circa 25 ragazze e donne tra i 14 e i 24 anni sono state sistematicamente violentate durante l’occupazione nel seminterrato di una casa a Bucha. Nove di loro sono incinta» ha riferito Lyudmyla Denisova, difensore civico ufficiale dell’Ucraina per i diritti umani. L’Ucraina, distrutta dalle bombe, oggi è più in grado di garantire un futuro ai propri cittadini, pertanto molte donne hanno cercato rifugio – e ancora continuano a farlo – in Polonia. Qui però, vige una legge a cui le donne ucraine non sono abituate e che pertanto costituisce una seconda violenza.
Abortire, in Polonia, è difatti estremamente difficile. Sino al 2020 l’IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza) era prevista in caso di malformazione del feto, rischio per la vita della madre, incesto o stupro. Con le nuove restrizioni annunciate dal governo polacco nel gennaio dello scorso anno, anche nel primo caso non è più possibile abortire. Nel dicembre dello stesso anno, invece, si è giunti a discutere della possibilità di istituire la figura di un super procuratore anti-aborto (oltre che anti-divorzio ed anti-LGBTQ+) con l’obiettivo di interporsi scrupolosamente tra la libertà della donna e il diritto all’aborto.
Ma se l’IVG è prevista in caso di violenza sessuale, perché allora alle donne ucraine viene negato tale diritto? Perché, affinché ciò sia possibile, la donna deve essere in possesso di un documento rilasciato dal magistrato che accerti la sussistenza del reato. Una condizione, questa, che sottomette il popolo al controllo di un governo patriarcale e che limita – ancora una volta, ancora di più – la liberta e l’autodeterminazione della donna.
Alla luce di tale realtà, sono attive nel Paese diverse associazioni femministe che si occupano di assistere le donne che vogliono abortire. La più importante è Abortion Without Borders che al momento sta offrendo sostegno e supporto anche alle donne ucraine affermando come gran parte di esse sia riuscita ad interrompere la gravidanza procurandosi illegalmente la pillola. A tal fine, l’associazione ha anche prodotto materiali informativi in ucraino dove spiegano come procurarsi una pillola abortiva in modo sicuro o come abortire in altri Paesi.
La strada verso la conquista dei diritti delle donne è ancora lunga. È fondamentale prevenire diffondere dati, portare alla luce testimonianze di eventi passati, di storie vissute; è fondamentale trovare il coraggio di denunciare; di unirsi, restare uniti e farsi portavoce dei diritti di tutti, soprattutto di chi non ha voce per farlo. A volte però tutto questo non basta: quanto oggi sta accadendo in Ucraina è la prova del fallimento.
Aurora Molinari