Revenge porn: quando è la vittima ad essere punita
Fonte: Lance Anderson (Unsplash)

L’AS Roma finisce nello scandalo del revenge porn. La vicenda risale a novembre del 2023 quando un uomo e una donna legati da una relazione sentimentale, entrambi dipendenti della società calcistica giallorossa, sono stati licenziati a seguito della diffusione di materiale privato, ossia un video hard girato nella loro intimità. A diffonderlo, un giocatore della squadra Primavera che l’ha condiviso con i compagni e con lo staff del club.

La donna, sostenuta da un avvocato, chiede di essere nuovamente riammessa a lavoro e un eventuale risarcimento dei danni (alla società e al giocatore), dimostrandosi disposta a sporgere denuncia per il reato di revenge porn qualora la sua richiesta non venisse accolta. Nei confronti del giovane, reo confesso che ha affermato di essere entrato in possesso del video già molto tempo prima, quando ancora minorenne, pare che ad oggi non sia stato preso alcun tipo di provvedimento. Immancabili dunque le critiche rivolte alla società calcistica che ha deciso di replicare motivando il licenziamento per “incompatibilità ambientale” e per “violazione del codice etico” in quanto sostiene che all’interno del video fossero presenti anche discorsi denigratori nei confronti della stessa AS Roma: «Il licenziamento è la conseguenza di una circostanza che, oltre ad essere contraria al Codice Etico della Società, e ad aver riguardato indistintamente entrambe le persone che hanno registrato il video, ha oggettivamente determinato l’impossibilità di proseguire il rapporto lavorativo con il Club, anche alla luce delle mansioni svolte da entrambi che richiedevano un coordinamento diretto con i minorenni. I fatti sono stati strumentalizzati».

La deputata Naike Gruppioni ribadisce, a tal proposito, che: «diffondere video privati senza chiedere il consenso delle persone interessate costituisce un reato. È quindi incredibile come la società, anziché preoccuparsi di prendere provvedimenti nei confronti di chi ha fatto girare il filmato, licenzi la vittima. […] È inutile e ridicolo parlare di tutela delle donne se poi si tollerano episodi come questo».

Non è tollerabile, ancora oggi, condannare una persona per aver operato liberamente nella propria intimità e per aver conservato del materiale privato. Non è tollerabile che a pagare le spese di un atto ignobile – quale la violazione della privacy contenuta nel cellulare della donna e l’appropriazione di contenuti appartenenti ad altri – sia la vittima. Quest’ultima, infatti, non solo non ha ricevuto delle scuse né dall’autore del reato né dalla società calcistica, ma è stata anche licenziata assieme al suo compagno senza giustificato motivo. La diffusione di materiale intimo e la violazione della privacy ledono la dignità della persona che si sente privata della libertà di scegliere se, con chi, e in quali modalità condividere qualcosa che gli appartiene; ledono il benessere psico-fisico della vittima che talvolta perde il controllo della propria vita. È purtroppo noto a tutti il caso di Tiziana Cantone che nel 2016 decise di porre fine a quel dolore che portava dentro ormai da troppo tempo, dovuto alla diffusione in rete di alcuni suoi video hard amatoriali.

endrevengeporn.org

Il Codice Rosso, approvato con la Legge n. 69/2019 mira a tutelare tutti coloro che sono vittime di violenza. Deve il suo nome alla necessità di introdurre un provvedimento con carattere d’urgenza. Tra i reati contenuti all’interno del Codice Rosso vi è anche quello di revenge porn, ossia diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti.

Il reato di revenge porn può essere commesso dall’autore del contenuto, dal destinatario diretto e da se n’è appropriato violando la privacy altrui, da tutti coloro che ne hanno la disponibilità perché diventato virale. Viene quindi punito chi, senza il consenso delle persone coinvolte, diffonde materiale destinato a rimanere privato. La pena prevede la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5 mila a 15 mila euro, ma si inasprisce qualora i contenuti vengano diffusi dal partner o da persona con cui si è interrotta la relazione, e se i fatti danneggiano l’immagine di una persona in condizione di inferiorità fisica/psichica o in stato di gravidanza.

Non sono la tecnologia e la “fluidità” di internet a costituire il reale problema della diffusione illecita di materiale privato. È la mancanza di rispetto nei confronti del prossimo e della sfera privata che, in quanto tale, non può e non deve divenire di dominio pubblico; è la mancanza della libera scelta della vittima e dell’abuso di potere del carnefice; è la tendenza ad etichettare e colpevolizzare la vittima; è la non presa di posizione, talvolta accompagnata da giustificazioni, nei confronti di chi commette l’illecito. In un mondo dove questi aspetti ancora vengono relegati ai margini delle vicende, il problema continuerà ad essere il mezzo, ossia internet, e mai l’intenzione, cioè la consapevolezza che ci si sta appropriando di una parte di vita che non appartiene a noi.

Aurora Molinari

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