Il woke.
L’ideologia gender.
Il politically correct.
Il pensiero unico.
Il mainstream.
Il malore improvviso.
La follia green.
Per anni la propaganda reazionaria ha infarcito di slogan la sua narrazione, facendo leva sugli istinti più subdoli e sordidi del proprio elettorato, utilizzando concetti a volte decontestualizzati, a volte strumentalizzati, a volte completamente inventati per costruire la propria alterità. E la vittoria di Trump e Musk, in un certo senso, è proprio la vittoria di questa narrazione.
Ha stato il wuòk
Con il beneplacito di Facebook, X, TikTok e compagnia – su cui ormai è più facile incontrare un bot che un essere umano – la propaganda ha avvelenato ogni pozzo, demolito ogni spazio di discussione fino a prendersi la ribalta mediatica: del resto, in un mondo che non legge più, in cui l’analfabetismo funzionale è la nuova cifra identitaria per accomunarsi a una collettività mai così connessa eppure mai così alienata, trenta secondi di reel sono il nuovo standard comunicativo. Un libro, un articolo o un paper scientifico non possono competere.
E ha funzionato? Eccome se ha funzionato. Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, dal river fino al sea: le forze di estrema destra occupano ormai un dominio quasi indisturbato, e ovunque avanzano nutrendosi del consenso delle forze “democratiche” schiacciate su sé stesse, avviluppate in una spirale di subalternità senza le idee e le risorse per venirne fuori. La coalizione Ursula che regge l’Europa lo ha già palesato. La precarietà di Spagna, Francia e Germania lo presagisce. Dell’Italia non facciamo menzione.
Viviamo una transizione con un solo sbocco possibile: il ritorno ai regimi illiberali. “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, per recuperare Gramsci – uno che oggi avrebbe fatto a malapena una decina di like. Sì, è bastato meno di un secolo per dimenticare gli orrori del fascismo. Per desiderare addirittura che tornasse. Ma attenzione, non basta trincerarsi dietro il pericolo fascista per autoassolversi. Le colpe sono evidenti.
C’è una classe politica, un ceto dirigente prostrato al profitto. Che si è ubriacato di listini azionari dimenticando la sete. Che ha ingollato debito pubblico dimenticando la fame. Che ha respinto gli attacchi dell’estrema destra non esercitando il buonsenso, ma sentenziando dall’alto come per lesa maestà. E così, delle soluzioni ragionevoli come i vaccini, una maggiore inclusività, lo stop alle auto a benzina sono sembrate delle coercizioni intollerabili. Col risultato, ancora una volta, di far sembrare il fascismo un Principe Azzurro in groppa a un cavallo nero.
Lo vuoi fare? E fallo.
Cosa faranno adesso quei rinnegati? Si genufletteranno. Anzi, qualcuno lo ha già fatto. Perché il potere chiama il denaro, e il denaro chiama il potere. Con l’elezione di Trump e Musk, la nuova coppia di fatto che potremmo rinominare Trusk, il mondo sarà finalmente libero dal pericolo woke e gender; libero di diffondere fake news come esercizio di opinione, di iniettarsi candeggina per curare le polmoniti, di causare incendi, alluvioni e uragani sul proprio suolo pur di estrarre l’ultima goccia di petrolio.
Ma dubito che la narrazione possa cambiare, a questo punto. Il richiamo orwelliano ai due minuti d’odio è troppo prezioso. Il nemico rimarrà sempre il “sinistrato” verso cui gli adepti del culto truskista riverseranno i loro commenti generati con ChatGPT, magnificando un miliardario corrotto, stupratore ed eversivo come il successore di Gesù Cristo.
Per poter sopravvivere, la propaganda ha bisogno continuamente di un bias di conferma; altrimenti, presto o tardi finisce per regredire a folklore. Il contributo dei social network sarà dunque fondamentale. Non stupisce che Trump si sia affrettato a revocare il bando a TikTok durante il primo giorno del suo mandato. Niente più moderazione, niente più fact-checking, niente più rispetto delle minoranze: la grande alleanza tra estrema destra e piattaforme tech ha il potenziale per fare più danni di Goebbels – e questa volta su scala globale.
Ma come si fa a stare dalla parte degli oppressi, quando questi ultimi stanno dalla parte degli oppressori? Domanda da un milione di dogecoin.
Trump, Musk, Dio e Marx
Forse è questo ciò che meritiamo. Se non riusciamo a fare di meglio – e non come persone di sinistra, ma come esseri umani – allora i Trump e i Musk sono l’unica deriva antropologica possibile. Una risposta semplice, e inadeguata, a problemi complessi. Una deresponsabilizzazione fideistica verso l’uomo forte che provvede a tutto, con la semantica dell’odio a soddisfare il fanatismo, gesti, simboli e ritualità (come il cappellino MAGA) a consolidare l’effetto gregge, un lessico scarno composto di slogan e qualche insulto e, per non farsi mancare nulla, un po’ di sano colonialismo vecchio stile: il canale di Panama, il Canada, la Groenlandia, persino Marte.
C’è però un limite intrinseco in questa narrazione, dato dalla sua necessità di essere post-ideologica. In Donald Trump, Elon Musk, come anche in Marine Le Pen, Giorgia Meloni, Javier Milei, Narendra Modi, Viktor Orban, Santiago Abascal, Nigel Farage e negli altri leader dell’estrema destra sembra mancare una omogeneità culturale. Perlopiù si limitano a ricalcare confusamente vecchi schemi e a fare leva su un vago sentimento nostalgico, sfruttando con furbizia e sapienza gli strumenti della propaganda. Ma non c’è altro.
Questi redentori del popolo sono in realtà gusci vuoti, parodie in bianco e nero (più nero che bianco), ucronie senza pagina. Si sforzano di interpretare una realtà che non esiste per mero opportunismo, ma sarebbero i primi paladini del woke e del gender se questo gli garantisse l’elezione. Ecco perché non riesco a prenderli sul serio. Li temo certamente, ma non li rispetto. E non posso fare a meno di ripensare a quell’osservazione di Karl Marx: “Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.
Più preciso di così…
Emanuele Tanzilli