Qualsiasi sia l’identità dell’autrice de L’amica geniale, la saga letteraria italiana più famosa nel mondo, una cosa è certa: Elena Ferrante non può che essere una donna. A prescindere dalle analisi letterarie e testuali che sono state fatte a tal proposito, e dai risultati a cui esse hanno condotto, ciò appare evidente dal leitmotiv della tetralogia, tutto declinato al femminile. L’amica geniale è infatti una lunga indagine non solo sulla condizione della donna nella società contemporanea a partire dagli anni ’50, ma anche sul sesso e sulla complessità della dimensione femminile. In maniera narrativamente efficace e stilisticamente accattivante la Ferrante porta avanti un’acuta riflessione sulla femminilità e, più in particolare, sulla sessualità femminile. Non che un uomo non possa scrivere bene di donne e femminilità, certo. Ma come la Elena Greco della finzione narrativa trova il coraggio di parlare, nel suo primo libro, di «roba sporca», di «roba che i maschi non vogliono sentire e le femmine conoscono e hanno paura di dire», perché si tratta di qualcosa che in quanto donna ha vissuto personalmente, così la Elena Ferrante della realtà ha fatto della femminilità l’audace fil rouge della propria opera perché è una donna e non un uomo. In un’ottica metatestuale le «pagine spinte» del romanzo di Elena Greco, quelle che alla loro pubblicazione destano stupore e sdegno negli abitanti del rione, sono speculari al più generale discorso sul sesso elaborato dalla Ferrante nella sua tetralogia.
Le due protagoniste de L’amica geniale, Elena e Lila, incarnano al contempo una consapevolezza ed un rifiuto: la consapevolezza di non essere padrone del proprio desiderio sessuale e di non riuscire a gestire la possibilità del piacere ad esso connesso, e il rifiuto di assoggettarsi incondizionatamente al piacere altrui, al piacere del maschio che crede che la donna sia fatta male nel sesso solo perché vive una complessità emotiva e fisiologica a lui estranea. Sia Lila sia Elena − la prima attraverso l’eleganza della parola letteraria, la seconda attraverso la durezza del dialetto − formulano per sé e per il lettore un discorso sulla femminilità. Elena si oppone al pensiero dominante fallocentrico e all’idea della donna come proiezione imperfetta del maschile, Lila all’eccessiva importanza che gli uomini da sempre attribuiscono al sesso. In entrambe, però, questa forma di disagio si trasforma in una volontà positiva di realizzazione, in una presa di coscienza del proprio essere donne in un mondo forgiato dagli uomini. Elena e Lila si ribellano ad un percorso apparentemente obbligato: quello della donna che è amata e desiderata, ma non può amare né desiderare, e della femmina che è scelta e posseduta, ma non può scegliere né possedere.
Il tentativo di elaborazione di un discorso femminile sulla femminilità, che ne L’amica geniale si definisce attraverso il continuo sforzo di autocomprensione delle due protagoniste, è il primo passo verso l’autodefinizione e, dunque, verso l’autolegittimazione. Formulare un discorso su qualcosa o qualcuno significa infatti garantirgli un’esistenza, metterlo al mondo e renderlo visibile a tutti. È proprio dal concetto di autorappresentazione che la donna deve ripartire per pensarsi nell’ottica di una parità e di un’emancipazione totali. Quello che è davvero necessario, oggi, non è un discorso sulla donna e sulla femminilità rispetto all’uomo e alla mascolinità, ma un discorso della donna rispetto a se stessa. Inoltre, se quello che l’uomo pensa della donna è importante, ancora più importante è quello che la donna pensa di se stessa. Sebbene il sesso e il piacere sessuale costituiscano solo il punto di partenza di un problema più ampio, la sessualità rappresenta un aspetto fondamentale della questione: solo passando per la sessualità, infatti, è possibile dare avvio a una riflessione sul rapporto che la donna intrattiene con se stessa, in particolar modo con il proprio corpo e con la sfera del desiderio.
La donna, il corpo e il desiderio
Mai come oggi la donna sembra essere padrona assoluta del proprio corpo, consapevole del modo in cui si serve di esso. La liberalizzazione sessuale e dei costumi ha posto il corpo al centro di una serie di discorsi filosofici che lo hanno determinato come fatto storico performativo, come manifestazione di specifiche possibilità e significazioni culturali. In quanto tale il corpo assume le qualità della trasformabilità e dell’intercambiabilità, tipiche della veste. Con il corpo l’individuo rappresenta se stesso sul palcoscenico della società, sforzandosi di rendere la propria immagine quanto più interessante è possibile. Il problema della autorappresentazione femminile, oggi, è esattamente in questo: la donna sente molto più dell’uomo l’esigenza di esporre pubblicamente il proprio corpo e la propria femminilità. L’ostentazione è divenuta strumento di rivendicazione. L’esempio più calzante è quello dei social network, pieni di foto di corpi e sguardi femminili che vengono immortalati per essere guardati e desiderati. La donna social ambisce ai like perché un like non è semplicemente un tasto, ma una richiesta di riconoscimento da parte di un “Altro” − per lo più maschile − che le dia la conferma di essere piacente, bella, attraente. Il confine tra il fare del proprio corpo ciò che si vuole e il metterlo continuamente a disposizione degli altri per un bisogno di autocompiacimento è molto labile, soprattutto se si parla di dimensione social, in cui “pubblico” e “privato” si confondono pericolosamente. Questa dipendenza dallo sguardo maschile pone ancora una volta la donna in una posizione di passività. Così facendo la donna non fa che assecondare quella cultura maschile e maschilista che tanto condanna, e che la concepisce come mero oggetto sessuale.
È questo il passaggio necessario per una reale liberazione dallo status quo, qualcosa su cui L’amica geniale indaga a fondo: la donna deve iniziare a pensarsi come soggetto del desiderio, del proprio desiderio sessuale. Nulla di nuovo, perché si tratta di qualcosa per cui le femministe di prima generazione hanno speso molte battaglie: la donna non più come ciò che è agito, ma come ciò che agisce. E non solo. È lo stesso linguaggio intorno al sesso a dover cambiare: quando parla di sé la donna non deve più solo dire di voler essere amata, corteggiata, desiderata sessualmente. La donna deve poter dire, e lo deve fare senza vergogna o ironia, di volere amare, corteggiare, desiderare sessualmente.
In fondo è questo ciò cui Elena Ferrante dà voce ne L’amica geniale: Elena e Lila impongono al mondo la propria femminilità e la propria femminile volontà di desiderare, sempre, anche quando questo significa esserne tristemente tagliate fuori.
Federica Spera