Samantha Comizzoli è una delle “resistenti” che hanno sperimentato sulla propria pelle le violenze fisiche e morali dell’occupazione sionista: vittima di insensate violenze da parte delle autorità israeliane, ha di recente subito anche una condanna per diffamazione nei confronti della società (italiana) a cui si deve la realizzazione del “muro della vergogna” che imprigiona la Palestina. L’ho contattata in seguito ad una sua lettera del 7 aprile, indirizzata al TG5, che contesta la visione offerta dal telegiornale Mediaset nell’affrontare la questione.
Per cominciare, come preferisci che ti definisca? Fra le tue numerose esperienze puoi annoverare l’aver fatto politica, l’esser stata attivista e molto altro, ma nella recente lettera indirizzata al TG5 ti sei firmata come “video reporter sparata, rapita, imprigionata, torturata e deportata dall’esercito israeliano”. Vogliamo partire da qui?
Ho fatto 3 film e report e video-report (non solo dai due anni in Palestina). Video reporter, e regista, e scudo umano; ma vado anche a pulire i cessi per produrre tutto questo. Pertanto, l’unico lavoro retribuito ed ufficiale che ho è quello della donna delle pulizie. Questo, se proprio mi vuoi definire. Per quanto riguarda il come mi sono firmata sulla lettera al TG5, era ovviamente per dire che cosa hanno fatto gli israeliani a me (comunque nulla rispetto ai palestinesi) ed anche per far capire perché sono qui, in Italia, a scrivere al TG5.
Cosa sta accadendo a Gaza? Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una recrudescenza degli scontri e soprattutto a una nuova ondata di efferatezza da parte dell’esercito israeliano che ha provocato decine di morti e migliaia di feriti, tra cui molti bambini, ma la faccia della medaglia che ci viene mostrata dai media è quasi sempre quella opposta…
A Gaza non ci sono mai stata perché non potevo passare il muro della West Bank, ma non sta accadendo nulla di diverso e che già non accada da 70 anni ad oggi, così come nel resto della Palestina: un Genocidio. Idem per ciò che viene mostrato dai media, nulla di nuovo.
Come se non bastasse, è arrivata in queste ore la condanna a cinque mesi di reclusione e a 10 mila euro di danni morali per diffamazione nei confronti della CMC, la società che sta costruendo il muro israeliano. In un video l’hai definita una condanna politica, e al contempo hai promesso che i soldi che verranno raccolti in segno di solidarietà verranno destinati direttamente ai palestinesi, le vere vittime del muro. Questo mi fa tornare a mente l’opera sistematica di reclusione che lo stesso Israele attua ormai da anni come misura deterrente al dissenso; penso ad Ahed Tamimi e alle centinaia di altri prigionieri politici. Come si risponde, come si reagisce a questo utilizzo autoritario della Giustizia per fini politici?
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Il “muro della vergogna” in Palestina che è costato a Samantha Comizzoli una denuncia per diffamazione
La condanna riguarda una notizia che io avevo solamente riportato e che era stata diffusa da fonte autorevoli, cioè che la CMC aveva partecipato alla costruzione del muro israeliano in Palestina (752km). I prigionieri politici palestinesi, in questo momento, sono circa 7200. Di questi, circa 350 sono bambini. Il numero dei bambini è molto variabile perché molti di loro diventano adulti in prigione e quindi escono da quel “350”. Non riesco a parlare di uso della giustizia per fini politici, poiché quello che ho visto e vissuto io in Palestina è a 360° un Genocidio ad opera di un gruppo razzista/nazista/nazionalista che è israele (scritto volutamente in minuscolo, ndr). Negli anni ha tessuto, come un ragno, una tela che trova rapporti economici/politici con tutti i governi.
Sia gli occidentali che i Paesi arabi hanno venduto la Palestina. È una storia che il movimento sionista ha scritto a fine ottocento/primi del novecento e della quale stiamo ancora vivendo la semplice applicazione. Siamo, pertanto, davanti ad uno tsunami e davanti ad uno tsunami non c’è alcuna strategia. Puoi solo cercare di salvarti. Tutto quello che viene fatto dalla Resistenza o dai singoli attivisti qui è la cosa giusta da fare, ma consapevoli che lo si fa perché è la cosa giusta, non perchè si fermerà il mostro. Il concetto base della Resistenza è proprio questo: resisto. Altresì, non riesco ad inserire in un concetto di “Resistenza” i vari tavoli e tavolini per le trattative o i corridoi non violenti. Scusatemi, ma è impensabile andare da nazisti come Hitler e mettersi a tavolino.
La Pace ci sarebbe solo se israele smettesse di essere un progetto nazista; al tempo stesso, forse, non si arriverebbe alla Pace perché i palestinesi hanno ovviamente ragione a difendere le proprie case, ma fino a quando su questa Terra ci sarà qualcuno che dice “questa terra è mia e non tua”, non ci sarà mai la Pace. La Terra non è di nessuno, la Terra ci ospita e, tanto, alla Terra ci torniamo tutti prima o poi.
Un giorno parlavo con un vecchio palestinese e mi diceva “a me non interessa se questa terra si chiama Palestina o israele o pinco pallino. A me interessa che ci si possa vivere in Libertà”. Concordo con il suo pensiero.
Il quadro che ne viene fuori, anche per chi rappresenta la stampa, è abbastanza desolante: da una parte abbiamo servizi ai telegiornali faziosi, unilaterali e montati ad arte, che tu stessa hai definito vera e propria “pornografia”, dall’altra abbiamo la censura mediatica e a volte, come nel tuo caso, addirittura giudiziaria nei confronti di chiunque osi mostrarsi dissonante alla narrazione del Potere. Credi che ci sarà mai un’occasione di riscatto, non solo politica, ma anche semplicemente etica, per chi non si rassegna a uniformarsi e allinearsi?
Abbiamo anche persone che hanno sacrificato la propria vita per raccontare la verità. Anch’io ho scelto quella strada anni fa e non potrei fare diversamente, perché sono così. Non ho mai pensato ad un riscatto, non mi interessa. Faccio un percorso etico che va verso la libertà, questo mi interessa. Scrivo e filmo per scrivere anch’io un pezzetto di storia. La mia telecamera e la mia penna sono i miei M16. Violenti. C’è la “loro” storia e poi c’è la mia. Un giorno gli oppressori dovranno rispondere per quello che hanno fatto; davanti a Dio per chi crede in Dio, o almeno davanti alla storia che abbiamo scritto.
Emanuele Tanzilli
@ematanzilli