In un film, specie in quelli d’azione o western, i titoli di coda sono l’unico momento in cui i protagonisti di un duello appaiono insieme, non più divisi ma uniti nel presentarsi agli spettatori.

Ai titoli di coda di queste elezioni — e quasi al via delle consultazioni per formare un governo — ecco che PD e M5S, due tra i principali duellanti della scena politica italiana dell’ultima legislatura potrebbero presentarsi ai propri elettori non più divisi, ma uniti in un’insolita e prima d’ora impronosticabile alleanza.

Per la verità, le due fazioni tendono ancora a svicolare di fronte a un’ipotesi di questo tipo.

#senzadime
La campagna #senzadime su Twitter

Il Movimento 5 Stelle prosegue nell’affermare la propria politica del “non facciamo alleanze ma progetti politici”, che è tanto rassicurante nelle intenzioni quanto priva di valore all’atto pratico.

Il PD addirittura fa di più e lancia la campagna #senzadime, per ribadire che la volontà espressa al momento del voto dagli italiani è quella di relegare il partito all’opposizione. E che quindi governare è onore — e onere, in questo caso — di altri.

Entrambi quindi reputano che un’alleanza comporterebbe più svantaggi che vantaggi, e preferiscono sondare ogni altra ipotesi prima di procedere con questa innaturale “fusione”.

Ma è forse proprio il PD, più del M5S, a dover rendersi conto della necessità (e della convenienza) di un’alleanza di governo.

I fautori del No a un’alleanza di questo tipo (in maggioranza nel partito) sostengono la loro tesi attraverso queste motivazioni:

  • le differenze programmatiche, e più in generale nell’approccio alla politica, tra i due schieramenti sono eccessive per pensare di poter trovare un compromesso;
  • il Movimento 5 Stelle rifiutò un accordo pressoché uguale ma a parti invertite nel 2013, ergo non sono nelle condizioni di chiedere responsabilità al PD;
  • confermarsi al governo anche dopo una batosta del genere renderebbe a tutti gli effetti il PD il partito “della casta attaccata alla poltrona” agli occhi dell’opinione pubblica, facendone sprofondare ancora di più il consenso;
  • si vuole far governare il M5S con la Lega in un ipotetico governo populista che, nelle speranze dei democratici, durerebbe poco e non sarebbe capace di tenere fede alle proprie promesse elettorali, erodendone fortemente la base elettorale.

Questi quattro punti mirano alla ricostruzione del PD come partito cardine del centrosinistra italiano e in generale dell’equilibrio della nostra democrazia. Ma i problemi del PD vanno oltre il fisiologico “chi governa perde voti”, e non è detto che cinque anni di opposizione farebbero ritornare facilmente il PD alle percentuali di qualche anno fa.

I problemi del PD e le intuizioni del M5S

La débâcle elettorale del centrosinistra si può riassumere in due errori fondamentali, che sono stati sapientemente sfruttati soprattutto dal Movimento 5 Stelle: aver completamente trascurato il tema delle disuguaglianze della redistribuzione della ricchezza e non aver neanche accennato un rinnovamento della classe dirigente che, soprattutto al sud, appare vecchia e legata a logiche clientelari o paternalistiche. E lo dimostra il 15% ottenuto nel collegio Campania – 03, quello del feudo della famiglia De Luca.

Qualcosa di sinistra
“Renzi dì qualcosa anche non di sinistra, di civiltà…”

È su questi temi, indiscutibilmente se non di sinistra almeno di civiltà (per citare Nanni Moretti e il suo Aprile), che il M5S ha basato gran parte del suo consenso: il Reddito di Cittadinanza, anche se in forma rozza e forse inapplicabile, è una proposta che fa entrare nel dibattito pubblico il tema del sostegno in favore dei disoccupati e dei poveri; inoltre, competenti o meno, i pentastellati offrivano un sicuro ricambio anche in termini di classe dirigente, nonostante i criteri di scelta dei nuovi parlamentari non fossero completamente privi di ambiguità.

Flussi elettorali M5S
Dati SWG

Che in questo voto il M5S abbia incarnato gran parte dell’elettorato “deluso” di sinistra è evidente anche dall’analisi dei flussi elettorali: il 9% dei nuovi elettori pentastellati nel 2013 aveva votato per il PD, la quota maggiore proveniente da un altro partito rispetto a tutti gli altri. Inoltre, il 14% di coloro che avevano votato Bersani ha ripiegato verso la squadra capitanata da Di Maio.

Flussi elettorali PD

Insomma, il popolo di sinistra non vota più a sinistra. Ed è un errore storico della sinistra definire il popolo come tale solo quando vota in un certo modo, che sia il 18% del PD o l’1% di chi a questo popolo vuole ridare “Potere”. I voti per la Lega sono difficilmente intercettabili, ma la maggior parte dei votanti pentastellati chiede semplicemente un cambio di rotta da parte dello schieramento progressista; e mostrarsi disponibili al dialogo e al confronto sarebbe positivo nel tentativo di recuperare la loro fiducia.

Perché un’alleanza di governo?

Per farlo, il PD deve anche giocare su quelle che sono le debolezze che mostra ancora il Movimento 5 Stelle: le tante ambiguità programmatiche, dovute alla necessità di tenere insieme un elettorato fortemente variegato. Qui si inserisce la necessità di un’alleanza di governo, o magari di un appoggio esterno: la possibilità di indirizzare il M5S verso una condotta di governo più improntata a sinistra, per iniziare a modellare i contorni di un movimento che, ad oggi, è ancora una massa informe.

I populisti non si sconfiggono isolandoli: così facendo li si fa sentire accerchiati, iniziano a sentire “il rumore dei nemici”, e come abbiamo visto negli ultimi anni la narrazione complottista e vittimista riesce efficacemente a fare breccia nell’elettorato.

Il populismo si sconfigge integrandolo in quel sistema che, iniettato di una dose di “vaccino anti-sistema”, riesce a reggere ondate che si preannunciano sempre più forti. E forse non c’è nulla più “di sistema” di un governo da soli, con la fiducia incondizionata del partito che più di tutti è stato massacrato dal Movimento 5 Stelle negli ultimi cinque anni.

Un governo M5S-Lega sarebbe invece una probabile catastrofe, Berlusconi Di Maioperché spingerebbe una enorme potenziale “scheggia impazzita” verso una destra ancora più pericolosa di quella berlusconiana degli ultimi vent’anni.
Destra con la quale il PD cinque anni fa ha stretto un’alleanza di governo molto simile, e qui la domanda “Ma davvero Di Maio è peggio di Berlusconi?” risulta forse semplicistica, ma sicuramente esemplificativa per descrivere la contraddizione in cui si muove il Partito Democratico.

La destra ha rappresentato, rappresenta e deve rappresentare tuttora per qualsiasi schieramento progressista, il nemico. Il Movimento 5 Stelle invece è semplicemente la reazione della società alle storture del sistema politico e partitico, in particolare della sinistra.

Quale sarebbe la sorte del Partito Democratico in caso di governo con il Movimento 5 Stelle, nessuno può dirlo.

Il M5S potrebbe completamente riassorbirsi negli schemi di un normale bipolarismo destra-sinistra, oppure potrebbe essere il PD a sparire integrandosi in un Movimento diventato ormai partito di governo a tutti gli effetti. Ma quest’ultima ipotesi si verificherebbe probabilmente anche in caso di mancata formazione di un governo e ritorno anticipato alle urne, con una polarizzazione dello scontro tra M5S e Lega.

Un’alleanza potrebbe essere la fine della sinistra come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, o l’inizio di un nuovo grande schieramento progressista. Le ipotesi sono potenzialmente infinite, ma appartengono a un film diverso che deve ancora iniziare.

Adesso, godiamoci i titoli di coda di queste elezioni. E prepariamo i popcorn.

Simone Martuscelli

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