Se il Partito poteva ficcare le mani nel passato e dire di questo o quell’avvenimento che non era mai accaduto, ciò non era forse ancora più terribile della tortura o della morte? Il Partito diceva che l’Oceania non era mai stata alleata dell’Eurasia. Lui, Winston Smith, sapeva che appena quattro anni prima l’Oceania era stata alleata dell’Eurasia. Ma questa conoscenza, dove si trovava? Solo all’interno della sua coscienza, che in ogni caso sarebbe stata presto annientata. E se tutti quanti accettavano la menzogna imposta dal Partito, se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera. “Chi controlla il passato”, diceva lo slogan del Partito, “controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”.

[George Orwell, 1984]

Cari lettori,
da alcuni giorni il nostro premuroso ministro dell’Interno, quell’uomo sobrio e pacato che risponde al nome di Marco Minniti, ha messo a disposizione, attraverso il sito della Polizia Postale, un servizio di segnalazione per fake news: e questa, purtroppo, non è una fake news.

Di cosa si tratta? In termini spiccioli, di un “bottone rosso” da premere in caso di emergenza-bufale, per mobilitare un solerte team di esperti informatici che, grazie a sofisticati algoritmi e software di ultima generazione, saranno in grado di stabilire se la notizia in questione è vera oppure falsa.

Il Brainch della domenica
Illustrazione a cura di Antonella Monticelli

Ora è curioso notare una cosa. Fin quando le fake news hanno preso di mira gli stranieri e i migranti, facendoli passare per stupratori, assassini, ladri e parassiti, nessuno si è mai preoccupato di porre un argine al dilagare del fenomeno. Sono certo che ognuno di voi avrà letto almeno mille volte la bufala sui 35 euro al giorno e sugli hotel a 5 stelle.

Poi qualcuno deve essersi accorto di poter sfruttare le fake news anche per fini politici, per manipolare il consenso. Ecco allora gli attacchi personali a Renzi, l’intero albero genealogico di Laura Boldrini assunto come staff al Parlamento, le leggi fasulle sui vitalizi proposte da senatori inesistenti, una guerra a campo aperto tra opposte fazioni condotta con sadismo scientifico e totale, pieno, sincero disprezzo per la dignità.

Così, ciò che prima sembrava un’innocente marachella per il popolo del web è diventato il nemico pubblico numero uno: le fake news avevano passato il segno, avevano osato sfidare gli dèi, mettendosi contro la classe dominante. Un affronto intollerabile, un atto di tracotanza imperdonabile.

Per mesi non abbiamo sentito parlare d’altro: dalla campagna #bastabufale alle promesse di Facebook di intervenire per contrastare il fenomeno – miseramente fallite – sembrava fossimo di fronte a una minaccia più grande dello spread e più insidiosa del terrorismo. Poi, a un mese e mezzo dal voto, ecco arrivare il bottone rosso di Minniti, che delega a un’autorità di Stato come la Polizia l’insindacabile giudizio di veridicità.

Chi controllerà i controllori di fake news?

Nessuno sembra essersene accorto, forse perché il servizio, su ammissione del capo della Polizia Gabrielli, non mira a sconfessare la propaganda: “Non diremo mai se le opinioni di questo o di quel politico non sono vere”. Tutto a posto, la campagna elettorale sarà ancora un luogo ricco di balle di fieno elettorali.

Così mentre i candidati decantano le lodi della democrazia che sorgerà all’alba della loro elezione, a contestare una misura palesemente antidemocratica sono rimasti soltanto i giornalisti – e non parlo dei bufalari di professione, ma di voci e testate anche autorevoli che avrebbero soltanto da guadagnare da una capillare eliminazione delle fake news.

Un bottone rosso contro le fake news

Questo perché a spaventare non è tanto quel bottone rosso, che sarà l’ennesima inutile trovata farlocca, ma l’idea che a separare il Vero dal Falso debba essere lo Stato, e non la coscienza collettiva forgiata da cultura e istruzione, buonsenso e ragion critica. Perché se una massa di analfabeti funzionali non è in grado di comprendere che i 35 euro non finiscono nelle mani dei migranti, o che Laura Boldrini non può avere settantaduemila parenti tutti contemporaneamente assunti alla Camera, non siamo di fronte a un problema di ordine pubblico, ma di istruzione, educazione civica e alfabetizzazione digitale.

Dalle fake news alla finta realtà

Un problema la cui soluzione è rappresentata dalla Cultura, quella per cui l’Italia spende appena lo 0,4% del PIL, e non da un manipolo di esecutori al di là del bene e del male. Certo, le fake news rappresentano un problema, inquinano il confronto democratico e finiscono anche per deviare il consenso: ma affrontare il problema solo a ridosso delle elezioni, dando vita a un prototipo di Ministero della Verità di orwelliana memoria significa inculcare l’idea che il popolo non sarà mai “maturo” abbastanza per discernere autonomamente, e che il giornalismo reale sia condannato a soccombere.

Ancora più preoccupante è l’idea, neanche troppo remota, di una “finta verità” che finisca per essere imposta come surrogato delle “finte notizie”: cosa sarebbe successo, per esempio, se qualcuno avesse segnalato come bufala la notizia che alla scuola Diaz durante il G8 di Genova fu commesso reato di tortura? Oppure che a Firenze due carabinieri hanno stuprato due studentesse americane? E ancora, chi ci assicura che non vi saranno influenze da parte del Governo nel far censurare le notizie sgradite spacciandole come fake news?

Troppi quesiti per dirimere un dubbio che va oltre le nostre capacità di intervento. Come stampa, non possiamo che esprimere preoccupazione per una misura che di per sé avrà sicuramente effetti limitati, ma che spalanca definitivamente le porte a una censura di Stato che, unita alle più recenti censure dei social network come Facebook, lungi dal risolvere il problema delle fake news, rischia invece di affossare il mondo del giornalismo e la libertà di espressione costituzionalmente garantita.

Per cui, lettori cari, d’ora in poi non fidatevi più di nulla: tutto potrebbe essere o diventare una fake news. Anche questo articolo.

Emanuele Tanzilli

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