Negli ultimi mesi circolano, purtroppo, molte notizie riguardanti violenze compiute principalmente nei confronti delle donne.

Notizie di stupri e femminicidi sono ormai all’ordine del giorno, ma non si sente mai parlare di come sia possibile prevenire ciò e di come si possano aiutare le donne prima che il loro nome finisca su un giornale di cronaca nera. La dottoressa Carnevale, che lavora da anni nell’associazione Spazio Donna Onlus, ci ha aiutati a comprendere come funziona un centro antiviolenza, che ha proprio il compito di aiutare donne in difficoltà prima che sia troppo tardi.

«Spazio Donna è un’Associazione Onlus, attiva sul territorio di Caserta dal 1989, che lavora concretamente per l’autonomia, la libertà e la consapevolezza delle donne» si può leggere nella home del sito dell’associazione sopracitata.

Per centro antiviolenza si intende una linea telefonica o uno sportello ai quali le donne possono rivolgersi in cerca di assistenza. La linea telefonica è disponibile 24h, a rispondere sarà o una centralinista o una segreteria telefonica, che rimanderà a un secondo numero da chiamare in modo da garantire l’assistenza in qualsiasi momento della giornata.

centro antiviolenza donne
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L’anonimato viene garantito per legge, e vengono accolte donne di tutte le etnie e ceti sociali, essendo l’assistenza completamente gratuita.

Le donne che chiamano rappresentano i problemi più svariati, dalla semplice richiesta di assistenza legale per affrontare un divorzio fino ad arrivare alle denunce di violenze subite.

«Da un paio di anni riceviamo chiamate anche di donne avanti negli anni che hanno subito trenta, quarant’anni di violenze domestiche, sia fisiche che psicologiche, che però hanno resistito per mantenere l’idillio familiare o per amore nei confronti dei figli. Il problema che questo loro sacrificio, fatto a fin di bene, è la principale causa del deterioramento del rapporto con i figli», afferma la dottoressa.

Nel momento in cui una donna decide di rivolgersi a un centro antiviolenza può chiedere sia di parlare semplicemente con un’operatrice, in modo da avere un ascolto attivo e professionale, oppure può decidere di cominciare un percorso per allontanarsi dalla violenza. L’allontanamento dipende dalla condizione della donna: se lavora o ha un sostegno economico da parte della famiglia – che rappresenta anche un sostegno affettivo – è molto più semplice.

Se la donna non ha alcuna autonomia, allora i percorsi risultano più difficoltosi poiché hanno bisogno di essere accolte a casa di parenti o amici, nel caso in cui ne abbiano la possibilità, altrimenti vengono trasferite in una casa rifugio.

All’interno della casa rifugio si prova a creare un ambiente il più familiare e confortevole possibile.

La donna riceve ospitalità completa, alloggia in un piccolo appartamento e può disporre di spazi comuni dove c’è la possibilità di confrontarsi, sia con altre donne con un’esperienza simile, sia parlare con operatrici e volontarie presenti in questi ambienti.

«Ci occupiamo di tutto, dall’inserimento scolastico dei bambini all’aiuto di donne che scontano un trauma profondo. Insieme a queste donne progettiamo un percorso da seguire, che può prevedere o meno la denuncia. Nel caso di denuncia è la nostra avvocatessa spesso ad accompagnarle in questura. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, le forze dell’ordine considerano la denuncia una perdita di tempo e tentano di “mettere pace” tra i due coniugi, rischiando di far tornare la donna in quella situazione di pericolo e mettendone a rischio la vita. In altri casi, però, abbiamo trovato anche delle questure molto preparate che sono fornite di una stanza per ascoltare le donne», ci spiega la dottoressa Carnevale.

Il problema della denuncia resta molto delicato. Perché la donna arrivi a denunciare deve fare un lavoro molto profondo su se stessa. Si ricordi che dovrà denunciare un uomo che lei ha amato, che per questo ha sposato e che poi si è rivelato un mostro. Molto spesso la rabbia di tutto ciò non porta ad agire in modo opportuno, ma porta la donna ad uno stato di depressione e mancanza di stima personale.

Questo porta a non poter giudicare il fenomeno in base al numero di denunce che giungono alle forze dell’ordine, al massimo si può misurare nella consapevolezza generalizzata di quest’ultimo.

Centro antiviolenza donne
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Le persone non sono state sensibilizzate alla gravità della violenza e spesso la ritengono poco rilevante. Non si pensa di dover educare i bambini a quali sono le differenze di genere, si insegna ancora alle bambine che devono essere calme e sottomesse, ai bambini che devono essere forti e sottomettere.

Un’altra difficoltà è la mancanza di un sostegno economico per queste attività.

«Noi chiediamo pochissimo per finanziare le nostre attività. Principalmente le nostre spese riguardano beni di prima necessità per i bambini che arrivano con queste donne, pannolini, latte, devono praticare sport e purtroppo il solo volontariato non basta. Noi ringraziamo chi ha la sensibilità di aiutarci, spesso ci capita che centri sportivi ci lascino inserire dei bambini gratuitamente nella varie attività, ma non possiamo continuare a lavorare quasi esclusivamente sul volontariato», denuncia la dottoressa.

Anche la burocrazia risulta lenta. Molto spesso queste donne sono accolte nei centri senza il via dei servizi sociali, in quanto la tempistica in queste situazioni è fondamentale.

Un barlume di luce si può scorgere dall’esperienza del pronto soccorso rosa, dove infermieri e medici partecipano a corsi di formazione di quasi un anno in modo da essere sensibilizzati a determinate problematiche e poterle affrontare nel miglior modo possibile.

Se così non fosse, in ospedale i casi verrebbero sottovalutati, la donna non verrebbe compresa e finirebbe per tornare nella situazione di violenza o nell’ambiente familiare di origine.

La legge prevede da anni l’istituzione di questi pronto soccorso, ma sono molti i dibattiti sull’avvio o meno di questo servizio che, invece, è indispensabile per prevenire i mali peggiori.

C’è bisogno di un percorso di rieducazione della popolazione, per evitare che questo problema continui ad essere sottovalutato e in modo da permettere a questi centri di ricevere le sovvenzioni che meritano.

Conclude così la dottoressa Carnevale: «Ben vengano le manifestazioni e tutto quello che riesce ad uscire dalle stanze chiuse. Basta conferenze, basta tavoli istituzionali. È per strada che bisogna lottare!».

Andrea Chiara Petrone

 

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