Disposti a scommetterci su, perché ormai è chiaro, quello sui migranti sarà il principale topic per le prossime elezioni nazionali nel 2018.

Non perché in passato l’argomento non fosse mai stato incluso nel dibattito delle campagne elettorali, ma perché oggi l’opinione pubblica presenta un solco evidente — e le elezioni presidenziali francesi dello scorso maggio lo hanno già dimostrato — tra chi promuove l’accoglienza dei migranti in virtù dei diritti umani fondamentali e chi, sostanzialmente, si autoproclama difensore della patria e lotta contro l'”invasione di stranieri che non fanno nulla, si ubriacano, fumano, hanno lo smartphone e stuprano le nostre donne” (semicit.). 

È proprio su questo solco che si giocherà la lotta del consenso: punti percentuali fondamentali — se mai avremo una legge elettorale adeguata — che decreteranno la futura maggioranza di governo.

Pertanto, nell’era della spettacolarizzazione della politica e della popolarizzazione della leadership, “vendere politica” è una strategia, se non certamente vincente, sicuramente efficace.

Limitare il dibattito politico a pochi argomenti e parlarne utilizzando una retorica semplice per i “molti” è la tecnica giusta per attirare l’attenzione di quella fetta di elettori indecisi — intorno al 15% circa, stando all’ultimo sondaggio di EMG Acqua —, in grado di impattare sull’esito finale della competizione elettorale.

Si chiama marketing politico-elettorale e, detto banalmente, funziona così: il leader sceglie un tema in base a quelli che sono i sussulti dell’opinione pubblica, lo confeziona nella maniera più appetibile per le masse e grazie ai mass media (oggi soprattutto con i social network) lo posiziona sul mercato. Con i migranti, il PD sta lavorando proprio in tal senso. 

Già da tempo, ormai, il PD viene tacciato come un partito di destra economica, anziché di centrosinistra, visto che spesse volte ha fatto gli interessi degli imprenditori e non dei lavoratori (abolizione dell’art. 18 docet). Oggi, però, sul tema dei migranti il cambio di passo, ideologicamente parlando, è notevole.

La svolta comunicativa è arrivata subito dopo la “sconfitta elettorale” alle recenti amministrative, occasione in cui il PD ha perso il governo su quei Comuni che un tempo potevano essere considerati come una roccaforte del partito.
Gli esiti fallimentari hanno indotto i dirigenti del partito a cambiare approccio sull’immigrazione. Nonostante la proposta di legge, ancora in discussione (perché rinviata), sullo Ius Soli, si è operato per bloccare le navi ONG che traghettano i migranti sulle nostre coste e si è parlato di un pugno duro con Bruxelles affinché non releghi alla sola Italia la questione accoglienza.

Di sicuro, poi, ricorderete la card pubblicata sulla pagina Facebook del PD — eliminata dopo pochissimi minuti, ma comunque troppo tardi per non alimentare inevitabili polemiche —, che, riprendendo un passo del libro di Matteo Renzi, “Avanti”, recitava: «Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico. Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro». 

migranti PD Minniti

Sì, «aiutarli a casa loro», uno slogan tanto insensato, vista la situazione geopolitica mediorientale, quanto poco originale, al punto che l’inventore stesso di tale assurdità, Matteo Salvini, pare che non lo usi più.

Ciò nonostante, la “rivoluzione ideologica” del PD è cominciata qualche mese prima di quel “messaggio strumentalizzato”, precisamente quando Marco Minniti è stato nominato Ministro degli Interni.
E, molto probabilmente, sarà proprio Minniti la carta vincente su cui puntare, da parte del PD, per la vittoria delle prossime elezioni. O, quantomeno, l’àncora di salvezza.

Già nei primi mesi di mandato, il ministro firmò il famoso Decreto Minniti sui migranti — prima vera svolta destrorsa dell’«ex comunista figlio di un generale dell’aeronautica», direbbe l’altro ex, Massimo D’Alema —, diventato operativo lo scorso 17 agosto, che ha introdotto i CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), incrementato i rimpatri forzati, istituito sezioni specializzate in 14 tribunali e abolito un grado di giudizio nel processo per l’ottenimento del diritto d’asilo, dimostrando un’attitudine tesa a eliminare del tutto eventuali situazioni di disordine, degrado e inciviltà attraverso forme di repressione, anziché di rieducazione e inclusione sociale.

Il ministro, poi, è riuscito nell’impresa di ridurre gli sbarchi, ha stretto accordi con la Libia e ha annunciato un piano per l’integrazione degli immigrati da mostrare nelle prossime settimane. Ha tolto, in pratica, ogni occasione alle opposizioni — sia di destra (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) che di enigmatica estrazione ideologica (Movimento Cinque Stelle) — di avere ancora margine di manovra sul tema dei migranti, se non in spazi ristrettissimi e talvolta in maniera autolesiva (ad esempio, i titoli di alcuni giornalai sul caso malaria a Brescia).

Migranti Minniti PD

Le operazioni dello «sbirro» Minniti — così lo ha definito il fondatore di Emergency, Gino Strada — fanno parte, dunque, di un pacchetto di policy orientato al risultato contingente e programmatico, che non ha nulla a che vedere con quei valori del mondo di sinistra a cui il PD è, per forza di cose, legato. Lo stesso Strada ribatte su quest’aspetto quando dichiara che «ributtare in mare o riconsegnare bambini, donne incinte, poveracci a quelli in Libia e farli finire nelle carceri ammazzati o torturati, è una cosa compatibile con i suoi valori (quelli di Minniti, ndr). Con i miei no».

«Una società giusta, nel mondo contemporaneo, non può che essere una società dell’accoglienza e dell’integrazione»

[16 febbraio 2008, Manifesto dei Valori del Partito Democratico]

 

Ma nel marketing politico-elettorale, talvolta, i valori contano ben poco e si cerca di bypassarli in virtù del capitale elettorale, perché condizionati dalla forza del clima d’opinione. E che clima d’opinione abbiamo in Italia sui migranti?
Consultando l’indagine “Il clima sui migranti” dell’Istituto SWG, pubblicata nello scorso luglio, si può constatare come le opinioni sui migranti si siano fortemente inasprite in poco tempo. Un anno fa il 43% degli italiani era favorevole all’accoglienza degli immigrati, oggi solo il 33%. Ma vediamo nello specifico qual è l’opinione degli elettori del PD e degli indecisi.

Minniti migranti PD
Tabella 1

Tabella 1: il 41% degli elettori PD (e il 39% degli indecisi) vuole che i migranti vengano bloccati prima che arrivino sulle nostre coste.

migranti Minniti PD
Tabella 2

Tabella 2: il 50% degli elettori PD (e il 60% degli indecisi) è d’accordo sul blocco navale a protezione delle nostre coste.

migranti Minniti PD
Tabella 3

Tabella 3: il 33% degli elettori PD (e il 56% degli indecisi) pensa che l’Italia debba attuare il blocco totale degli ingressi di immigrati.

migranti Minniti PD
Tabella 4

Tabella 4: il 44% degli elettori PD (e il 69% degli indecisi) si considera “per poco” o “per nulla” d’accordo con l’affermazione: “Gli immigrati sono una risorsa per il Paese”.

migranti Minnisti PD
Tabella 5

Tabella 5: infine — questa è simpatica — il 21% degli elettori PD (più il 44% degli indecisi) la pensa alla pari dei leghisti: gli immigrati, per loro, sono criminali.

Pertanto, l’obiettivo del maggior partito italiano di centrosinistra è quello di non finire come il Parti Socialiste in Francia, ovviamente. La strada intrapresa è cavalcare l’onda delle paure e dell’odio (ciò che fanno da sempre Salvini e Le Pen, per intenderci). La politica come attività di interesse comune non è mai stata, probabilmente, così opportunista e sciacalla, né mai un elettorato sotto-un-unico-simbolo così ambiguo e diviso.

E Marco Minniti potrà essere ricordato, così, come il simbolo della deriva rossobruna della politica italiana.

Andrea Palumbo

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