Dopo l’uscita dagli accordi di Parigi si replica a Bologna: il rappresentante degli Stati Uniti d’America abbandona in anticipo il vertice del G7 sull’ambiente.
Il 2016 si era chiuso con delle pessime notizie per l’ambiente e la posizione degli Stati Uniti del Presidente Trump sugli accordi di Parigi non lasciavano filtrare grandi speranze per questo G7, ma la toccata e fuga del direttore dell’agenzia americana per l’ambiente Scott Pruitt cancella ogni dubbio. Le fonti ufficiali professano calma e le parole dell’entourage del ministro Galletti sono parole positive che nascondono un’attenta operazione d’equilibrismo. Evidente che dopo l’abbandono degli accordi di Parigi non ci si poteva aspettare dall’America di Trump un cambio di rotta e, sebbene resti piuttosto inquietante, l’uscita in anticipo del rappresentate USA dal vertice è da analizzare con oggettività.
«Premesso che ci aspettavamo la distanza sul clima, siamo soddisfatti perché pur rifiutando l’accordo di Parigi l’America resta impegnata nella riduzione delle emissioni» hanno dichiarato i leader presenti al vertice. Purtroppo la questione del clima non è di poco conto, al contrario risulta di primo piano per gli altri 195 paesi firmatari degli accordi di Parigi. Il pessimismo ha contagiato in special modo il Canada e la Germania: proprio quest’ultima continua i contatti con la Cina per garantire la permanenza di Pechino all’interno degli accordi di Parigi. Ma se Trump e i suoi dovessero persistere nella loro convinzione quali sarebbero le conseguenze per il clima?
Sono stimate in circa 3 miliardi di tonnellate all’anno le emissioni di anidride carbonica americane che aumenterebbero la temperatura della Terra di 0,3 gradi entro la fine del secolo. Tutto sperano che nei prossimi quattro anni l’amministrazione Usa torni sui suoi passi. L’America non smentisce l’esistenza di un problema legato al clima, ma non considera come possibile soluzione gli accordi presi a Parigi: un futuro de-carbonizzato non è da escludere ma allo stesso tempo dalla Casa Bianca non giungono proposte concrete.
La fortuna è legata ai tempi giuridici dell’eventuale uscita dagli accordi di Parigi: ai tre anni dall’entrata in vigore, datata 2016, va aggiunto un ulteriore anno per rendere effettiva la procedura. L’uscita quindi non potrà avvenire prima del 2020. Proprio in questi tre anni le autorità italiane sperano di sfruttare i buoni rapporti con gli Stati Uniti per poter annullare le distanze sul tema del clima. Agli Stati Uniti di Trump resterebbe la possibilità d’abbandonare del tutto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ma sarebbe una frattura difficilmente risanabile. Un vero e proprio disastro che non converrebbe a nessuno. Neppure agli Stati Uniti e questo Trump lo sa bene. Resta da sperare che l’uscita di scena dal vertice sia soltanto una mossa teatrale e niente di più.
Francesco Spiedo