L’otto giugno il Presidente del Senato Pietro Grasso ha presentato il suo nuovo libro, edito da Feltrinelli, “Storie di sangue, amici e fantasmi”, nella sede di Napoli in Piazza dei Martiri.

A venticinque anni dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, Pietro Grasso non smette di parlare di mafia, e questa volta lo fa in modo intimo e personale: ci porta indietro negli anni, al terrorismo, alla paura, alle indagini, al maxiprocesso, raccontando la sua storia di impegno contro Cosa Nostra.
L’incontro è iniziato e finito con la lettura, da parte di Marco d’Amore (che ieri ha abbandonato per l’occasione il set di Gomorra), di due lettere che Grasso ha scritto idealmente a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, compagni perduti di vita e di lotta.

Nel presentare questo libro Pietro Grasso ha abbandonato per un attimo il volto di Presidente del Senato, e forse anche quello di Procuratore Nazionale Antimafia, per svelare l’uomo che, sotto la scorza del duro senso della legalità che ha accompagnato la sua vita, ha provato sulla propria pelle paure e dolori.

Ecco perché, in un momento in cui si torna a parlare di Cosa Nostra e delle condizioni di salute di Salvatore Riina, e laddove in un mondo in cui le opinioni, tante e superficiali, volano libere tra i meandri del web, l’opinione di Grasso è una roccia salda a cui aggrapparsi: a Pietro Grasso, mentre ci racconta la sua vita passata gomito a gomito con la mafia, in un teatro di guerra che è la sua amata Sicilia, crediamo.

Crediamo quando dice, alla domanda sulla sua opinione sul caso Riina:

“Parto dal presupposto che tutta la mia vita è stata improntata alla legalità e alla legge, per cui non ci può essere per me altro sentimento di valutazione se non quello di applicazione della legge. Faccio questa premessa perché non ci possono essere sentimenti di vendetta da parte dello Stato, come non ci possono essere sentimenti di pietà.

Questa sentenza della Cassazione secondo alcuni giornali, o secondo notizie superficiali, avrebbe consentito la scarcerazione del pericoloso Totò Riina; ciò è incorretto, perché quella sentenza dice soltanto che il Tribunale di sorveglianza di Bologna non ha motivato le sue decisioni sulla base di un principio che fa parte del nostro sistema costituzionale, cioè che la pena debba essere umana: il problema è quindi il far sì che il Tribunale tenga conto di questo principio.
La Cassazione non ha però detto che Toto Riina non sia pericoloso: egli continua ad essere, secondo le regole che conosciamo, il capo di Cosa Nostra, ed è ancora in grado di dare degli ordini. Riina viene però curato in un ospedale specialistico di Parma, che è uno dei migliori che si possano trovare.

Dobbiamo basarci sull’equilibrio  tra due principi: quello della certezza della pena, l’ergastolo, scontato in 41 bis, e le modalità di detenzione, che devono essere umane.

Sappiamo inoltre che c’è una legge che dà la possibilità di collaborare con la giustizia in cambio della venuta meno di questo particolare regime di costrizione. Quindi se Riina vuole alleggerire questo regime che ritiene pesante, che collabori con lo Stato.

Glielo si legge negli occhi, a Pietro Grasso, quando racconta degli episodi della sua vita in cui la morte gli è passata ad un soffio di distanza, che nella legge bisogna credere ancora, perché quel sudato, ostacolato, difficile maxiprocesso che per la prima volta mise in gabbia Cosa Nostra è stata la prova che se lo Stato vuole davvero una cosa, possiede tutti i mezzi per ottenerla.

Ecco perché il libro, è stato più volte ribadito, è in primis rivolto a quel giovane pubblico che, ancora assente nel 1992, anno delle due stragi, per motivi anagrafici non ha potuto ricevere lo stampo indelebile nella memoria di come la mafia abbia cambiato la storia italiana. Raccontare per ricordare, e senza mai smettere di farlo: ecco lo scopo di “Storie di sangue, amici e fantasmi”.

Abbiamo intervistato a margine della presentazione la giornalista Paola Saluzzi, che ha condotto l’incontro con il presidente Grasso.

Perché è importante leggere un libro come quello presentato oggi?

Perché l’ho letto io che ho l’età per ricordare tutto quello che è accaduto, e con ricordare intendo avere una mappa di situazioni, molte delle quali sono in bianco e nero, ma che ho vissuto. Questo libro le mette in ordine: stabilito che non è un libro con un ordine temporale, lo si può leggere da qualsiasi capitolo, ma in tal ordine comprende un insegnamento: tutto è stato fatto per il nostro paese, per le generazioni che erano lì, e per quelle future. Avere in mente cosa queste persone abbiano fatto per noi. La cosa favolosa di questo libro è che Pietro Grasso non è mai autocelebrativo, celebra gli altri, si pone come “filo” di perle. A volte perle nere, ma nella maggioranza dei casi perle brillanti. È un libro da leggere, da portare nelle scuole: non si avrà difficoltà nella lettura, anche se non si sa nulla dell’argomento.
Molte volte oggi è stato toccato il tema dell’educazione per le generazioni post-1992.
Noi oggi abbiamo avuto Marco D’Amore, che ci tengo a sottolineare ha sospeso le riprese di Gomorra 3 per essere qui e leggere le due lettere tratte dal libro del Presidente Grasso. Tuttavia rischiamo che questo ci appaia come un film, invece è tutto vero. Se questo libro viene portato nelle scuole, viene regalato ai ragazzi, anche ai “ragazzi di cinquant’anni”, noi siamo la generazione che deve ripetere la storia. Siamo i ripetenti, quelli che non si ricordano, voi siete i nuovi portanti del presente, non del futuro. Se sai chi sono e cosa hanno fatto questi uomini allora saprai decidere della tua vita nel modo più giusto. La perfezione non è di questo mondo, ma avrai una torcia che ti illumina la strada.
Il Presidente ha sottolineato il concerto di forze realizzatosi in occasione del maxiprocesso, sono passati 25 anni e alcuni nodi sono irrisolti, cosa vuol dire interfacciarsi con questa realtà? Fare giornalismo?
Voi mi fate questa domanda, e alla mia sinistra c’è Paolo Chiarello, (lo indica, ndr) un giornalista di razza che insegna cosa voglia dire raccontare ciò che è, la verità. La velocità e l’efficacia del maxiprocesso, che pure è stata una strada ricca di insidie, ha insegnato che si può fare, è possibile. Quando ti minacciano e il giorno dopo sei lì con il tuo operatore, fai un grande lavoro. Quando ti provano a dire che la Terra dei Fuochi è un’invenzione di persone un po’ agitate, c’è un instancabile lavoro, pari al maxiprocesso. Non è vero che la mafia non esiste, e io te lo racconto, te lo faccio vedere: questo è l’insegnamento.
Ludovica Perina
intervista a cura di Alessandra Sasso

 

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