Jean Noel Schifano è un intellettuale francese che ha un rapporto molto particolare con la città di Napoli.

È una di quelle persone che nasce in un luogo, ma finisce poi per sentirsi cittadino di una città completamente diversa dalla propria per cultura, tradizioni e modi di vivere.

Nato da padre siciliano e madre lionese, lo scrittore Jean Noel Schifano, ama Napoli più dei napoletani stessi, esprime da anni la propria indignazione per il modo in cui viene denigrata ed offesa la città partenopea.

Autore di molti libri in cui designa “L’Unità d’Italia” come causa del declino di Napoli, trasformata in breve tempo da capitale di un Regno progredito economicamente e culturalmente a città bonsai. Tra le sue opere più importanti ricordiamo “Dictionnaire amourex de Naples”.

L’opera, pubblicata in Francia nel 2007, sarà tradotta in italiano grazie al progetto “Sos Partenope, 100 artisti per la città”, organizzato dalla casa editrice “Mondodisuk” in  collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al turismo”.

Lo scrittore francese Jean Noel Schifano  ci ha concesso un’intervista in cui ci parla del legame affettivo e culturale che lo lega al capoluogo campano.

Jean Noel Schifano,  lei è francese di nascita ma partenopeo nel cuore, come vive questa duplice identità culturale?

Potrei dire che sono nato due volte: una, per caso e per necessità di emigrazione – mio padre, cresciuto nello zolfo siciliano, ha dovuto abbandonare la sua terra natia dove fino all’adolescenza è sopravvissuto, per tentare di vivere altrove, da Parigi a Lione dove era riuscito ad essere un sarto molto apprezzato con negozio e laboratorio – la mia seconda e, direi, più importante nascita è la napoletana, cioè quando, dopo anni e anni di vita continua a Napoli, scrittura, testimonianze mediatiche, sono stato fatto, sotto lo sguardo e l’assenso di tutta la Città, cittadino onorario. Per me un vero battesimo, una vera conquista di identità. Finalmente una linfa di vita, finalmente per amore, armonia, ammirazione, riconosciuto dalle anime carnali napoletane: sono napuletano!… Eravamo nel giugno 1994.

È un grande ammiratore di Napoli, cosa l’ha spinta ad innamorarsi del capoluogo campano?

Negli anni ’70, partito da Parigi, andavo in macchina in Sicilia a vedere dove mio padre era nato, e a incontrare la famiglia sicula. Nel mio percorso avevo previsto di passare una notte a Napoli e poi ci sono rimasto per dieci anni… Non è che al primo contatto sono stato sedotto dalla Città: tra le lamiere i klaxons e le grida, in un movimento vertiginoso e continuo di uomini, donne, bambini, non ci capivo niente! Io che provenivo da una visione cartesiana del mondo, da una civiltà quadrata, mi trovavo in ciò che anni più tardi ho chiamato  barocco esistenziale, passavo dal quadrato al circolo, ero preso nei corsi e i ricorsi vichiani senza percepirlo chiaramente…E mi sono detto: non sei più cretino di un altro, non lascerai questa Città prima di avere capito dove sei capitato! E dopo sette anni, la mia vita continua a Napoli, corpo a corpo con il corpo partenopeo: nascite, morti, terremoto dell’Ottanta, ospedali e cimiteri, amicizie e amori, giorni e notti, dopo sette anni potevo srotolare il filo della matassa napoletana lungo i tre mila anni di Napoli e mi si poteva, con gli occhi bendati, mettere in qualsiasi posto nei vicoli…con gli odori, le voci, l’aria, lo spessore carnale che strusciava vicino a me, potevo dire senza sbagliare dove mi trovavo… Il salto in Sicilia, l’ho fatto più di dieci anni dopo le rivelazioni napoletane.

Il museo o luogo di cultura di Napoli che lei preferisce?

L’essenziale, a Napoli, non sono i musei, sono i napoletani, e il loro vivere che smuseifica la vita, che crea l’orizzonte infinito delle nostre esistenze, che si servono dello spazio tra due sculture barocche per stendere i panni, di una chiesa vuota e diroccata da un’eternità per abitarci. Tutto a Napoli, compresa la lingua napoletana, va coltivato e custodito con amore e perseveranza. Tutti i palazzi che ci raccontano le vite passate, tutte le pietre che cantano la resistenza della civiltà napoletana. E, certo, dal Museo nazionale a Capodimonte, dal Palazzo Reale al Museo Anatomico, da San Martino alla Capella Sansevero, da Castel dell’Ovo al Castello Sant’Elmo, e da tutte le scale a tutte le piazze, dalle fontane alle Fontanelle, tutto si vive a Napoli nell’ammirazione e l’amore più completo.

“Dictionnaire  amoureux de Naples” è il libro che parla  del suo singolare rapporto con la città partenopea. Cosa racconta esattamente in quest’opera? Di quali fonti si è servito per scrivere il Dizionario di Napoli?
Il mio Dizionario appassionato di Napoli è un enciclopedia napoletana scritta da un cuore che batte, ad ogni rigo si impara qualcosa e ogni rigo è scritto con ciò che ho vissuto anche tremila anni fa! Voglio dire che non si può capire la civiltà — sapere e esistenza — napoletana senza essere capaci di legare continuamente, naturalmente il presente e il passato, recente e più lontano, e far sì che il passato illumini il presente e il nostro presente illumini il passato. Sul lago d’Averno, per esempio, sono stato con Omero, Virgilio e anche Dante (che, fisicamente, non c’è mai stato!), e ho scoperto la beffa autobiografica e millenaria che Virgilio, nell’Eneide, ha fatto a tutti i più colti professori del mondo. Sulle rive del lago d’Averno i miei amori si coniugano carnalmente con il mio conversare virgiliano. L’autobiografia che circola nel Dizionario illumina e dà vita, dà palpiti al sapere e alle scoperte sulla civiltà napoletana. Fino a ciò che ho chiamato “il complesso di Nerone”, seppellito nel più profondo dell’anima napoletana. Tutte le voci del Dizionario si rispondono, si fanno eco, come i diversi capitoli di un romanzo verace, chiaro, che porge uno specchio non solo ai Napoletani ma a tutta la civiltà occidentale, la quale non sarebbe civile senza un pezzo, almeno un pezzo, d’anima napoletana.
Mariavictoria Stella

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