L’8 novembre 2016, giorno in cui il popolo americano è stato interpellato in merito all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, alcuni Stati, oltre a dover scegliere tra repubblicani e democratici, hanno dovuto esprimere la propria opinione, attraverso un referendum, riguardo alla pena di morte.

I verdetti emersi nel post election day risultano davvero inaspettati. Oltre alla vittoria di Donald Trump, un altro esito ha fatto discutere: negli Stati del Nebraska e dell’Oklahoma si è scelto rispettivamente di ripristinare la pena di morte e di legittimare il ricorso alla pena di morte includendola nella Costituzione. Paradossale invece è la vicenda inerente alla California, la quale si è trovata ad affrontare la decisione su due misure controverse: da una parte vi era la proposta per abolire del tutto la pena di morte e dall’altra la proposta di accelerare la procedura per l’esecuzione capitale.

Nonostante sembrasse essere nell’aria una rinuncia a una pratica così arcaica, la realtà palesatasi ha mostrato quanto sia ancora lontana l’idea di democrazia dinanzi a una fucilazione, un’iniezione letale o una camera a gas. Una realtà che cede di diritto la possibilità a un giudice, sempre soggetto ai limiti dell’uomo, di emanare sentenze in grado di decretare la fine di una vita. Sicuramente le tecnologie e i processi sono stati potenziati affinché la delibera di una pena coincida quanto più possibile alla realtà dei fatti, ma non sempre il giudizio umano corrisponde alla verità assoluta.

Il popolo, davanti all’ennesima piccola possibilità di ristabilire in parte norme imprescindibili  sulle quali dovrebbero formarsi i rapporti di una comunità, ha scelto di sacrificare dei diritti necessari alla maggiore sicurezza della collettività.

Nel Nebraska, con più del 57% delle preferenze, si è scelto il ripristino della pena di morte. Infatti, il  26 maggio del 2015, attraverso un voto parlamentare, il Nebraska si era allontanato dal processo di condanna a morte, diventando il 19esimo stato abolizionista. Il risultato del referendum appare come la testimonianza di uno smarrimento del senso logico. Sicuramente c’è da chiedersi perché, nel giro di un anno, possa invertirsi così radicalmente una decisone.

Nell’Oklahoma, il 67% delle persone ha espresso la propria preferenza riguardo la pena di morte. Il referendum, però, non ha mai messo in discussione l’uso di tale esecuzione come pratica in sé, bensì la conferma della legittimità della pena capitale attraverso il conferimento di una protezione costituzionale. Una norma che rende del tutto inefficaci i tribunali nel dichiarare una vertenza «crudele e inusuale» così come previsto dall’ottavo emendamento della Costituzione americana, che regola i limiti entro i quali è consentito “giustiziare” una persona.

La più totale e sfrenata libertà nel destinare la vita di un uomo sopprimendo anche la più insignificante parte di empatia. Tutto ciò risulta una netta sconfitta per tutti coloro i quali più volte avevano accusato lo Stato di questo “Schadenfreude”.

Nella California, fortino di democratici, il referendum richiedeva la valutazione su due mozioni: la proposta 62 per abolire del tutto la pena di morte, tramutando le sentenze da esecuzioni capitali a carcere a vita, e la proposta 66 pensata per ridurre il tempo trascorso dalla condanna a morte all’esecuzione. Per quanto riguarda la prima proposta, il quorum raggiunto non è stato sufficiente a sancire l’abolizione della pena capitale, facendo sì che tale procedura  sia sempre vigente. Per quanto riguarda la seconda proposta, il 52% ha espresso la volontà di velocizzare i tempi dell’esecuzione.

Vincenzo Molinari

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