Figure dall’espressione oscura e impenetrabile, caratterizzate da un erotismo tetro e disperato, seppur sublime, figure che si contorcono su se stesse, quasi volessero nascondersi agli occhi del mondo, quasi si vergognassero di quell’impudicizia così irriverente, così impertinente, scomoda per alcuni. Figure che si stagliano su uno sfondo che non esiste, completamente bianco e astratto: questa la tecnica principale, fulcro dell’arte di Egon Schiele, pittore austriaco vissuto agli albori del ‘900.
Le sue opere esprimono la mirabile fusione tra Eros e Thanatos, amore e morte, le due pulsioni che, secondo l’omonimo mito, hanno dato origine alla vita. L’erotismo di Schiele non appaga, non soddisfa, non è detentore della serenità tanto agognata, seppur rifugge sempre da essa, l’equilibrio è terra ignota e che non si vuol conoscere. Al contrario, esplode una tensione erotica disperata, la cui liturgia è il tormento lancinante che molesta e annienta tutto ciò che tange. L’inquietudine spasmodica che si impadronisce dei corpi effigiati e li induce ad un estremo strazio, l’affanno convulso, tipico di chi è afflitto da questa malattia terrificante e, al contempo, meravigliosa fanno da padroni ai soggetti raffigurati nei suoi disegni.
Le immagini dei corpi femminili, delineate prepotentemente nei loro contorni, quasi come a volersi imporre nella bianca dimensione intangibile, avulsa dalla realtà, nella quale sono immerse, si ergono nella loro temeraria sfrontatezza, nell’impudenza che ha l’obiettivo di scandalizzare lo spettatore, di turbarlo, sconvolgere le dinamiche mentali improntate sul moralismo bieco e bigotto, sul perbenismo ostentato e fasullo, sul rifiuto della propria sessualità, quasi come se quest’ultima fosse un peccato da non dover assolutamente commettere. Al contrario, Schiele, avverso a quella concezione così retriva e conformista tipica del ceto borghese, esibisce lascivamente anche le parti più intime delle donne che raffigura, le pone in risalto con l’aiuto di colori accesi, in atto di sfida, di trasgressione, come conditio necessaria ad esprimere la sua dimensione interiore così singolare e così aberrante.
“Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco.”
Tuttavia, nelle sue opere manca l’appagamento trionfante, la sensazione di pienezza che aleggia, invece, nei quadri di Gustave Klimt, in cui le donne sono ritratte allegramente, con espressione paga e soddisfatta, quieta e serena. L’artista austriaco accompagna costantemente Thanatos ad Eros, è onnipresente quel senso di morte, la vaga angoscia che trasuda dagli occhi dei soggetti illustrati, la tristezza soffocante e cupa, la disperazione impetuosa ed enfatica, il senso di dissipazione perversa. Con la potenza sconfinata di Thanatos, Eros distrugge, si impossessa morbosamente dei corpi che sceglie come vittime da mietere. Soccombono tutti al suo potere tirannico, che, pur spaventando, ipnotizza.
Egon Schiele si spegne all’età di 28 anni a causa della febbre spagnola. Il suo spirito anarchico, superbo e libertino trapela non solo dai suoi quadri, ma anche dai suoi scritti:
“Io esisto per me e per coloro ai quali l’inestinguibile sete di libertà che ho in me dona tutto, ed esisto anche per tutti, perché amo – anch’io amo – tutti. Sono il più nobile tra gli spiriti nobili – e quello che più ricambia tra chi ricambia. Sono un essere umano, amo la morte e amo la vita.”
Queste le sue ultime parole:
“La guerra è finita – e io devo andarmene. – I miei quadri dovranno essere esposti in tutti i musei del mondo! – I miei disegni saranno divisi tra voi e i miei amici! e potranno essere venduti dopo 10 anni.”
Clara Letizia Riccio