Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Il 2017 è stato l’anno del ritorno di fiamma nella love story pluridecennale tra Silvio Berlusconi e la politica italiana. Ma come è possibile che a oltre vent’anni dalla sua discesa in campo sia ancora al centro della scena pubblica?

Il Cavaliere ha deluso le aspettative di molti: PD e Cinque Stelle speravano di condurre l’Italia a un nuovo bipolarismo, Salvini era pronto a essere glorificato come il primo leader leghista in grado di spostare il cuore del centrodestra da Arcore a Pontida (con un occhio al Sud…), persino Travaglio aveva iniziato a sparare a zero su Renzi e famiglia credendo che il nemico storico fosse ormai fuori dai giochi.

E invece ancora una volta Silvio Berlusconi da Milano – sì, quel Silvio Berlusconi, che nel 2017 ha compiuto ottantun anni – è tornato tra noi, pronto a candidarsi alla guida del Paese, e i suoi amici e nemici di sempre devono fare per l’ennesima volta i conti con lui.

In realtà sull’effettiva candidabilità di Berlusconi alle prossime elezioni politiche si pronuncerà presumibilmente tra qualche mese la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, ma si tratta di un finto problema.

Il dato concreto è invece la capacità di un sol uomo di condizionare la politica italiana e spostare i voti di milioni di italiani senza ricoprire alcun ruolo istituzionale ed è testimoniato dall’inversione di tendenza dei sondaggi, che a distanza di un anno dal referendum istituzionale contro il quale si erano spesi con molta più forza Salvini e Meloni rispetto a Berlusconi vedono una completa inversione dei rapporti di forza all’interno del centrodestra. Ma perché?

sondaggi elettorali, lega
La Lega in un mese e mezzo ha perso due punti percentuali…
… gli stessi guadagnati in questo autunno da Forza Italia.

Semplice, perché è tornato in campo Lui. Innanzitutto, bisogna tenere a mente che il Berlusconi del 2017 non è il Berlusconi del 1994, e non solo per motivi anagrafici. La sinistra post-comunista non esiste più, il Partito Democratico di Matteo Renzi ha poco da spartire non solo con l’ultimo PCI ma anche con le sue successive reincarnazioni (PDS e DS) e con il PD pre-renziano. Lo stesso segretario del PD, infatti, è spesso stato visto più come un novello Berlusconi che come un suo coriaceo oppositore.

La condizione necessaria per la vitalità politica del quattro volte presidente del Consiglio è la presenza di un avversario da affrontare frontalmente in una contrapposizione manichea tra Bene e Male. Posto quindi che il PD non ha le caratteristiche adatte per ricoprire questo ruolo di “antagonista da combattere”, ecco che viene in aiuto l’antiberlusconismo più moralista che politico che ha caratterizzato lo scorso decennio, contribuendo a creare il retroterra culturale nel quale ha proliferato con facilità il nuovo nemico numero uno di Forza Italia: il Movimento Cinque Stelle.

Tolti di mezzo i “comunisti”, che non fanno più abbastanza paura all’elettorato moderato per incanalare voti verso la destra moderata, ecco che i grillini sono stati dipinti come la nuova reincarnazione della vecchia sinistra, ovvero pericolosi pauperisti che in fondo ci vogliono tutti più poveri. E poi, insiste Silvio, non sanno governare, fatto provato inconfutabilmente dalla scarsa esperienza lavorativa di molti deputati e senatori pentastellati.

Se il Berlusconi del ’94 si presentava come il nemico numero uno di un sistema corrotto, il Berlusconi del 2017 fa ormai parte da vent’anni di quel sistema. Se prima diceva di voler salvare l’Italia nonostante la politica, ora deve farlo attraverso la politica.

Ed ecco che con un coup de théâtre gioca la carta dell’usato sicuro contro il salto nel buio rappresentato dai Cinque Stelle. All’onestà giustizialista grillina contrappone l’onestà paranoica berlusconiana, fatta di continue accuse alla magistratura di sinistra che lo perseguiterebbe da una vita; alla presunta incompetenza grillina contrappone semplicemente se stesso, la sua storia costellata da innumerevoli successi in campo imprenditoriale e politico.

Ma il Berlusconi del 2017 non è solo «l’unico argine ai populismi», il solo a poter fermare Grillo e tenere a bada Salvini. Quando Silvio sveste i panni di Berlusconi, infatti, si riscopre anche nonno affettuoso, amante degli animali, padre di famiglia attento ai bisogni di mamme e anziani e cittadino qualunque che si fa fotografare in Autogrill e beve una spremuta da McDonald’s.

Com’è umano lei.

Non c’è parola, scatto rubato o apparizione pubblica che non faccia parte di un disegno ben preciso. Il rebranding berlusconiano segue un ideale estetico per il quale Hamilton Santhià ha coniato su Prismo il termine berluscuteness, ovvero un repulisti di tutto ciò che non piace di Berlusconi per sancire il “trionfo dell’innocuo”.

In sintesi, la rivalutazione dell’ex premier nel 2017 si può scandire in due fasi: per la prima parte dell’anno Berlusconi ha lavorato per ricostruirsi una verginità di uomo qualunque che fa un passo indietro rispetto alla politica per godersi affetti e piccole gioie della vita.

Poi, soprattutto nei mesi successivi all’approvazione della nuova legge elettorale, la presenza mediatica del Berlusconi politico si è progressivamente intensificata, con frequenti interventi pubblici che hanno tra le altre cose favorito il successo di Nello Musumeci in Sicilia.

Forse Pintor aveva semplicemente ragione con qualche decennio d’anticipo, non moriremo democristiani. Ma in un’Italia ancora ammaliata dal fascino sempiterno di un leader che sembra eterno, lo scenario che si profila all’orizzonte è chiaro: moriremo berlusconiani.

Davide Saracino

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