L’annunciata manifestazione che avrebbe macchiato di nero le strade argentine ha visto la partecipazione di migliaia di donne: il Miércoles Negro ha scosso l’intera nazione.
Dalle immagini e dai video del corteo è possibile vedere migliaia di ombrelli aperti contro la pioggia, striscioni e cartelli bene in vista, sguardi fieri e furiosi – una macchia d’inchiostro fitta, inaspettatamente non nera, ma tinta di carne e ossa.
«Chiedo di essere libera» recitano alcuni slogan, mentre riecheggiano sin sopra l’Obelisco di Plaza de Mayo le frasi-simbolo della protesta – Ni Una Menos, Vivas Nos Queremos – e l’assassinio di Lucía Pérez.
I sopracitati contributi visivi consentono di constatare che l’azione di ribellione contro la violenza di genere non abbia reso protagoniste le sole donne, ma anche molti uomini, in piazza a loro volta per combattere la barbarie.
I dati del Miércoles Negro stimano la presenza di circa 25.000 persone, radunatesi sin dalle 16:00 (ora locale) in vista dell’appuntamento previsto per le 17:00. La massiccia partecipazione era stata in un certo senso preannunciata dall’alto numero di adesioni allo sciopero previsto nel primo pomeriggio, che ha visto molte donne e alcuni uomini allontanarsi dal luogo di lavoro, recarsi in piazza e applaudire in segno di protesta, ribellione e orgoglio.
Il collettivo “Ni Una Menos”, primo promotore della manifestazione, nel clima di protesta del Miércoles Negro, ha pubblicato una nota sulla pagina Facebook in cui esorta le donne a non fermarsi mostrando loro quanto in realtà siano ancora immobili. «La libertà – scrivono – implica abbattere definitivamente il patriarcato», ravvisabile in più aspetti del quotidiano: l’aborto non legale, sicuro e gratuito per tutte, la disparità di trattamento economico tra uomini e donne in ambito lavorativo, le diciannove vittime nel mese di ottobre – dato che «duole e indigna».
Ciò che ha chiesto il Miércoles Negro è l’abbattimento del concetto secondo cui una donna in quanto donna sia percepita dalla società come inferiore rispetto a un uomo in quanto uomo. Demolire, dunque, la mentalità sottesa alla violenza di genere, che tramuta la donna in oggetto posseduto o da possedere, di cui disporre a propria discrezione, è il fine ultimo.
In Italia, una manifestazione animata da ragioni simili a quella svoltasi in Argentina avrà luogo a Roma il 26 novembre, organizzata da Io Decido – Rete Romana, D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza e UDI – Unione donne in Italia.
Così recita la prima parte dell’appello stilato dagli organizzatori:
«Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Vogliamo che sabato 26 novembre Roma sia attraversata da un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione.
Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata».
Rosa Ciglio