Una legislazione che prevede la pena di morte per i crimini d’odio e le stragi di massa. È quanto ordinato da Trump al dipartimento di giustizia per sconfiggere razzismo e suprematismo dalla società.
Dopo i massacri delle scorse settimane in Texas e in Ohio, le luci dei riflettori sono state puntate verso pene esemplari da attuare per ristabilire ordine, placare gli spiriti e porre fine ai “crimini contro l’umanità”.
«L’odio non ha posto in America. L’odio deforma la mente, saccheggia il cuore e divora l’anima», ha dichiarato il presidente Trump in un discorso pubblico all’indomani delle stragi. L’idea è quindi di combattere l’odio con la pena di morte. La soluzione individuata serve a trasmettere la paura del possibile e a punire in modo esemplare chi oltrepassa il possibile trasgredendo.
Alla violenza si risponde insomma con la violenza, all’odio si risponde con odio.
Pena di morte: l’odio come soluzione in numerosi Stati
Le esecuzioni messe in atto nel 2018 sono state 690 (in diminuzione rispetto alle 993 del 2017) e hanno coinvolto circa venti Paesi, dalla Cina all’Iran, dall’Arabia Saudita all’Iraq.
Amnesty International si impegna da tempo a combattere una punizione, la pena di morte, ritenuta crudele e disumana, che mentre ristabilisce ordine trasgredisce le leggi, mentre “garantisce giustizia” uccide.
L’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti umani recita “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. L’articolo 5 dice “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumane o degradanti”.
Le esecuzioni inflitte attraverso la pena di morte da un lato calpestano, negandolo, il diritto alla vita e dall’altro il diritto a non subire torture. All’interno della logica garantista viene poi di fatto attuata una misura discriminatoria che penalizza quanti, svantaggiati economicamente, non possono permettersi una difesa legale.
Oltre agli aspetti legati al diritto, alla legge dell’uguaglianza, a ciò che è giusto e non lo è, c’è una voragine che si apre con la pena di morte fatta di rancore e di rifiuto, di arroganza e prevaricazione: è la trappola dell’odio.
E quanto giusta pensate sia una sentenza che decreta la pena di morte?
Stabilire che un uomo deve definitivamente essere eliminato dalla società significa attribuirsi la capacità più grande di tutte: concedere la vita e decretare la morte, il potere che ha la natura, ma anche di decretare le sofferenze dell’altro. È il volto di una società che, mentre vede la mostruosità, diventa essa stessa mostruosa. E agisce secondo gli istinti più bassi verso chi in una comunità non perfetta, non buona, non educata, commette un grave errore. Anziché pensare a una punizione adeguata, severa ma civile, a una rieducazione per un essere che è pur sempre un uomo, viene decretata la fine assoluta. La più barbara, la più atroce, la più vecchia: la legge del taglione ha origini antiche.
La società, quella evoluta, civilizzata, tecnologica, con la fine di una vita espia la propria colpa: il non avere educato una persona a vivere nel rispetto del giusto. Ma uno Stato che condanna a morte un assassino, non diventa esso stesso un assassino? Si apre una ferita, insanabile: il regime del terrore, che oltre a essere fallimentare – è provato che la pena di morte non diminuisce i crimini commessi – mostra l’estrema fragilità di un Paese, l’incapacità di controllo che degenera in ferocia.
Ciò premesso non significa che i criminali debbano vivere liberamente, ma che debbano essere giudicati con metodi che combattono l’odio piuttosto che infiammarlo. Oggi più che mai è necessario punire con la ragione e con le leggi della civiltà, se non vogliamo regredire e vivere in un mondo pieno di sangue.
L’odio universale
Un episodio della celebre serie TV Black mirror, Odio universale, riesce a mostrare gli scenari distopici dettati dall’odio che decretano poi la fine della vita. La trama è chiara fin da subito: ci sono omicidi da risolvere, le vittime sono persone odiate dal pubblico.
Basta poco per capire che servono un cellulare, un hashtag #deathto e un po’ di cattiveria per porre fine a una vita. Ma poi tutto si riversa contro, perché alla fine siamo ciò che facciamo all’altro, e tutto prima o poi ritorna a noi – anche l’odio. Si tratta di una società che per sentirsi appagata ha bisogno di vedere il disumano, l’orrore attraverso la pena di morte. Quello descritto è solo un episodio di una serie TV, una realtà immaginaria, in grado però di aprire una finestra sui rischi dettati dall’odio se filtrato nelle crepe della società.
Alba Dalù