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Simone de Beauvoir: libertà e femminismo

«Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un’eccentrica. Ho abitudini dissolute. […] Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un’istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. L’essenziale è presentarmi come un’anormale.»

L’insopprimibile e spietato anelito alla libertà, la sublime eresia come unica religione a cui poter essere devota, il rovesciamento sacrilego delle certezze che, incontrastate, avevano dominato la scena negli ultimi secoli, la spudoratezza invereconda e blasfema di sovvertire i canoni indiscussi e inconfutabili della borghesia, di molestare il prosaico perbenismo conformista, denudando le sue più turpi contraddizioni, l’impudente e “folle” pretesa di affermare la propria femminilità, ribaltando le regole inerpicate al conservatorismo retrivo e, ormai, decaduto: questi alcuni degli straordinari e complessi aspetti della poliedrica personalità della scrittrice francese Simone de Beauvoir, compagna di vita del filosofo esistenzialista Jean Paul Sartre.

Simone de Beauvoir

Refrattaria fin da adolescente all’accettazione passiva di un’educazione improntata ad un moralismo incalzante e serrato, Simone de Beauvoir, non rispettando i costumi borghesi per cui l’unico destino di una donna era quello di sposarsi, si iscrisse alla Sorbona, alla facoltà di filosofia. E proprio l’università fu il teatro di molti fortunati incontri con Lévi-Strauss, Simone Weil, Raymond Aron, Paul Nizan e, infine, con Sartre.

Feconda di nuove e brillanti ideologie, la sua sete irriverente di indipendenza da tutto ciò che poteva costituire un’imposizione si riversò come un fiume in piena tra le pagine del suo primo romanzo “L’invitata”, che tesseva le trame intorno ad un’indiretta contestazione del classico modello di coppia costituito da un uomo e una donna, attraverso l’inserimento di un nuovo personaggio con la gravosa funzione di stravolgere l’armonico equilibrio e far crollare le certezze, eppure piantando il seme sacro della libertà, libertà che l’autrice francese propaga e diffonde in ogni contesto, a mo’ di solenne liturgia.

Ed è proprio di dissidente libertà che sono invasate le pagine de “Il secondo sesso”, che suscita non poco clamore nella Francia ancor troppo ancorata alle vetuste convinzioni maschiliste.

“Essere donna non è un dato naturale, ma il risultato di una storia. Non c’è un destino biologico e psicologico che definisce la donna in quanto tale. Tale destino è la conseguenza della storia della civiltà, e per ogni donna la storia della sua vita.”

Considerato il manifesto della cultura femminista per eccellenza, attraverso l’analisi antropologica, filosofico-psicologica e scientifica della donna, è la civiltà che relega essa in una posizione subalterna e inferiore rispetto all’uomo, non la sua essenziale natura.

“L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale, ma in relazione a se stesso; non è considerata un essere autonomo.” 

La tematica della donna ritorna prepotentemente anche in “Una donna spezzata”, tre racconti dalle trame completamente diverse, che si districano attorno alla comune crisi che travolge le tre protagoniste del libro.

Simone de Beauvoir

Anticonvenzionale e ribelle, indocile e indomabile, anticonformista e sovvertitrice: questo il ritratto di Simone de Beauvoir, dipinto nella sua autobiografia  “Memorie d’una ragazza per bene”.

Del resto:

“Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un’altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente.”

Clara Letizia Riccio

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