Da qualche tempo, ormai, l’Unione Europea è alle prese con una crisi di identità. L’istituzione continentale, invece di rappresentare una certezza dal punto di vista sociale e politico, non può far altro che arrendersi di fronte alle crescenti divisioni interne. Lo schieramento in fronti distinti, poi, contribuisce a inasprire il tenore di alcuni dibattiti e a creare ”muri” ideologici tra i vari Stati. Questo rende ancor più complicata la ricerca di un nuovo equilibrio.
Sebbene dovrebbero servire a tenerci uniti, alcune tematiche dividono nettamente l’opinione pubblica europea.
Non è un mistero che, tra i Paesi facenti parte dell’Unione Europea, si dibatta su alcune tematiche che, al contrario di quanto accade realmente, dovrebbero vederci tutti remare dalla stessa parte. È il caso – neanche a dirlo – della disoccupazione e della migrazione (interna ed esterna), ma anche del clima e dell’ambiente in generale. Queste, solo per citarne alcune, sono le principali preoccupazioni che affliggono gran parte della popolazione del Vecchio Continente.
Campi di battaglia, peraltro, sui quali si combatterà anche in previsione delle prossime elezioni europee, in programma tra poco più di un mese.
A questo proposito, un rapporto dell’ECFR (European Council on Foreign Relations) ha rivelato che, per l’appuntamento del 26 maggio, sono circa 97 milioni gli elettori ancora indecisi su chi e cosa votare.
Unione Europea: tra particolarità e particolarismi
Lo studio sopracitato ha consentito altresì l’individuazione di almeno quattro fasce inerenti le intenzioni elettorali del popolo europeo. Queste sarebbero così sintetizzabili:
- Quelli che credono nel ”Sistema”; favorevoli alle attuali politiche nazionali e continentali.
- I Pro-Europeisti lasciati andare a sé stessi; contro i principi dei propri governi, ma vicini ai valori europei.
- I cosiddetti Gilets Jaunes; in violento contrasto con i propri sistemi nazionali e con l’Europa stessa.
- I nazionalisti-euroscettici; d’accordo con un accentramento dei poteri a livello nazionale.
Insomma, una varietà di ideali che riflette esattamente la scissione interna all’Unione Europea di cui parlavamo poco fa.
Scissione cui Emmanuel Macron ha tentato di porre rimedio – almeno a livello teorico – esprimendo la sua idea nel ”manifesto per gli europei”. Il Presidente francese ha proposto, appunto, di dedicare maggiore attenzione alla realizzazione di una seria politica d’asilo e di una legge sul salario minimo, in virtù di un ”Rinascimento europeo”.
A fargli da eco è stato il Movimento Europeo, che ha subito elencato una serie di proposte divise in dieci punti. Questi, riassumendo, riguardano:
- l’inizio dei lavori volti alla costruzione di una futura Comunità federale;
- la salvaguardia delle diversità e delle minoranze;
- la garanzia al diritto d’asilo per chi fugge da guerre o disastri ambientali;
- un cambio di rotta nella politica industriale, allo scopo di creare un modello sostenibile e, dunque, meno dannoso per il pianeta;
- una sicurezza garantita da una politica estera estesa e condivisa a livello europeo;
- l’istituzione di un diritto penale europeo contro criminalità organizzata, corruzione e terrorismo;
- alcune misure mirate alla riduzione delle diseguaglianze economiche;
- una Unione economica e monetaria dotata di un proprio governo politico ed economico;
- la richiesta di un bilancio annuale con proiezione quinquennale;
- una cittadinanza federale europea, fedele alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Obiettivi certamente ambiziosi, anche se siamo ben lontani dal raggiungimento di simili traguardi.
La delusione ha causato l’ascesa di populismi e nazionalismi, ma costruire una nuova cultura europea è ancora possibile?
Abbiamo assistito, soprattutto negli ultimi anni, alla vera e propria ribalta dei cosiddetti partiti ”populisti”. Ma cosa significa, realmente, populismo? Tutto e niente. In questa sede, ci limitiamo a dire che le sfumature del termine sono molteplici e che pertanto si presta a varie interpretazioni.
Ad ogni modo, quando si parla del fenomeno populista, non se ne possono ignorare le cause e, come nel nostro caso, gli effetti. Tra le conseguenze del voto ”di pancia”, infatti, va evidenziata in particolar modo la perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni. Se ne deduce che un elettore d’accordo col motto: ”Prima gli italiani” sarà difficilmente propenso ad accordarsi con i propri ”vicini” europei. Anzi, è invece molto probabile che si lasci convincere dall’idea di allontanarsene (fosse anche solo dall’Unione monetaria).
E dunque, tornando a noi: con questo clima, una nuova cultura europea è possibile? Certo che sì. Ma non ci aspettiamo di andare a dormire stanotte e di svegliarci europei. Se questa nuova cultura s’ha da fare (semi-cit.), è giusto che si riparta dalle nuove generazioni, dalle manifestazioni in piazza e persino dai banchi di scuola.
Sì, perché studiare vuol dire aprirsi al mondo e, al giorno d’oggi, credere di essere superiori a qualcuno o di venire prima di qualcun altro è sintomo di ignoranza. E non è necessaria una laurea per capirlo: anche i più distratti ricorderanno che, nella storia, tutte le volte che ci siamo chiusi in noi stessi e posto barriere tra noi e gli altri, non è che sia andata benissimo.
Tutto sommato, viene quasi voglia di sentirsi finalmente europei.
Samuel Giuliani