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Le donne di Eugenio Montale

L’amore è sicuramente il tema cardine della letteratura di tutti i tempi. Oggi parliamo di un autore nostrano: il premio Nobel Eugenio Montale. Di Montale tutti ricordano i meravigliosi versi di Satura, pubblicata nel 1971, in cui troviamo componimenti famosissimi come “Ho sceso dandoti il braccio…” dedicato alla moglie, Drusilla Tanzi, teneramente chiamata col soprannome di Mosca per la sua forte miopia. Tutte le poesie che fanno parte delle prime due sezioni della raccolta Satura, Xenia I e Xenia II, sono dedicate al dolore che segue la morte della moglie:

Avevamo studiato per l’aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.

Ma le Muse che hanno ispirato la poesia montaliana sono ben più di una:

a poco più di 20 anni, infatti, conosce Anna degli Uberti che sarà cantata come Arletta, attorno ad essa sviluppa il tema dell’assenza ne La casa dei doganieri che fa parte della raccolta Le Occasioni (1939):

Tu non ricordi la casa dei doganieri […]
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
[…]Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; […] Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Nel 1927 Montale giunge a Firenze e conosce l’altra grande protagonista femminile della sua poetica, Irma Brandeis, un’americana che studia italianistica proprio nel capoluogo toscano. Allo scoppio della guerra, la donna è costretta a ritornare in America per via delle sue origini ebraiche e così s’interrompe la storia d’amore col poeta. A lei è dedicata la raccolta Le occasioni, che contiene le poesie composte tra il 1928 e il 1939. Ma comparirà anche nella successiva raccolta “La bufera e altro”.

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a Irma Brandeis

Irma Brandeis viene cantata come Clizia, donna mitologica, figlia dell’Oceano e amante di Apollo, il dio del Sole. Quando venne da lui abbandonata per la sorella Leucotoe, si vendicò denunciando il fatto al padre Oceano che fece sotterrare quest’ultima viva; Clizia, persa la speranza di poter riconquistare l’amore del dio, si trasformò in girasole. Nel mito ella resta sempre fedele al Sole, cioè Apollo, dio della cultura; il girasole, infatti, si volge sempre verso il sole, e cioè verso il valore supremo della cultura:

Clizia e Apollo
Clizia e Apollo
[…] Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi
fino a che il cieco sole in te porti
si abbacini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti.
(da La primavera Hitleriana)
e ancora:
La frangia dei capelli che ti vela
la fronte puerile, tu distrarla
con la mano non devi. Anch’essa parla
di te. […] (da La frangia dei capelli…)
Montale, invece,
non conobbe mai Dora Markus
Aveva visto una fotografia delle sue gambe inviatagli
da un amico insieme a un post scriptum:
«Ha delle gambe bellissime. 
Fanne una poesia. Si chiama Dora Markus»
[…] La tua irrequietudine
mi fa pensare
agli uccelli 
che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche
la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il
tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra. […] 
Un’altra donna che dobbiamo ricordare
è Maria Luisa Spaziani che Montale conobbe nel 1949:
“Io ero la volpe, lui l’orso. Non sono mai stata bella: era sedotto dalla mia vitalità. Lui non era mai stato giovane. Avevo venticinque anni e morivo dalla voglia di incontrarlo.
Conoscevo a memoria Ossi di seppia e qualche poesia delle Occasioni.”
Se t’hanno assomigliato
alla volpe sarà per la falcata
prodigiosa, pel volo del tuo passo
che unisce e che divide, che sconvolge
e rinfranca il selciato […] o forse solo
per l’onda luminosa che diffondi
dalle mandorle tenere degli occhi,
per l’astuzia dei tuoi pronti stupori. […]
Maria Pisani

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