Abilismo e femminismo
Credits: Anna Pezzella

L’abilismo era ed è un grande problema della nostra società, che spalanca una finestra sul nostro sistema politico-sociale in molti aspetti disfunzionale e discriminante. Ogni problematica della nostra dimensione sociale dovrebbe interessare chi si occupa di politica, diritti umani e società, e l’abilismo non fa eccezione. Nonostante ciò sembra essere ancora una “discriminazione di serie B”, di cui si parla poco e spesso con una comunicazione piena di un poco produttivo pietismo; di conseguenza ho deciso di sfruttare questo spazio proprio per sollecitare i lettori a non ignorare le problematiche a esso legate.

Partiamo dall’inizio: cosa intendiamo per abilismo?

Ad alcuni potrà sembrare banale, ma in realtà nemmeno il termine utilizzato per indicare le discriminazioni nei confronti delle persone disabili è ben impresso nel bagaglio conoscitivo di tuttx. Per definire l’abilismo non basta dire che si tratta dell’oppressione nei confronti di persone disabili, ma bisogna far presente che si tratta di una discriminazione sistemica che trova i suoi fautori non solo tra i singoli individui facenti parte di un tessuto sociale poco sensibilizzato a temi del genere, ma anche da coloro che dovrebbero garantire pari opportunità per ogni individuo.

Nei risvolti pratici dell’amministrazione non si tiene conto delle difficoltà in cui potrebbero incorrere coloro che convivono con una disabilità; di esempi ce ne sono molteplici, come l’inadeguatezza dell’impianto urbano e delle strutture pubbliche alle necessità di persone con disabilità motorie, che non garantiscono di fatto il diritto alla mobilità, senza trascurare la scarsità di fondi che vengono destinati all’assistenza personale di individui non autosufficienti, alla quale conseguono una serie di complicazioni che oserei definire disonorevoli da parte di un paese che aderisce alla Dichiarazione universale dei diritti umani, la quale nell’art.25 cita: “Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della propria famiglia, con particolare riguardo […] alle cure mediche e ai servizi sociali necessari…”.

Il malfunzionamento del sistema di assistenza personale costringe le persone non autosufficienti a due possibilità: curarsi della propria assistenza tramite finanze private, facendo rinunce e sacrifici, oppure essere chiusi in strutture che costituiscono vere e proprie istituzioni totali, che spesso entrano in contrasto con il diritto al lavoro o allo svago; insomma quando si parla di assistenza personale le persone non autosufficienti si collocano tra Scilla e Cariddi ed è per questa ragione che vengono portate avanti numerose proteste dagli individui che vivono in prima persona questo disagio, dalle loro famiglie e da persone esterne.

Tutto ciò viene ignorato da un corpo amministrativo il cui silenzio non dovrebbe essere contemplato quando si discute di malfunzionamenti sistemici di tale portata.

Indubbiamente la discriminazione abilista non viene attuata soltanto tramite ostacoli amministrativi e le più evidenti discriminazioni di natura violenta fisica e verbale, ma anche in maniera poco consapevole. Un evidente problema della narrazione attuata intorno alle persone disabili è (come anticipato) il pietismo, il comportarsi nei confronti di queste persone come se avessero bisogno della nostra compassione, la narrazione secondo cui la vita delle persone disabili sia triste e miserevole e che la disabilità vada vissuta come un tabù; in secondo luogo la discriminazione nei confronti delle persone disabili si concretizza anche attraverso il rendere la disabilità totalizzante nella loro identità, renderli “disabili” prima di tutto, sopra ogni sfaccettatura della loro personalità. A far parte dell’atteggiamento discriminatorio degli individui e del sistema però non sono solo gli atteggiamenti appena descritti, ma anche l’indifferenza alimentata dall’assenza di dati e dalla loro poca conoscenza: come esempio prendiamo la disinformazione sulla campagna di sterminio nazista Aktion T4, con vittime più di 300.000 persone disabili di cui l’opinione pubblica conosce ben poco.

L’indifferenza è la più grande evidenza della scarsa considerazione che si dà alla discriminazione abilista, poiché per quanto lontani siamo dal pieno raggiungimento dell’equità sotto diversi punti di vista, parte di essi viene quantomeno posta sotto gli occhi di tutti; questo invece non sembra avvenire con l’abilismo.

Tutto questo ha portato a domandarmi da dove nasca questo silenzio, e invece di lanciarmi in congetture ho deciso di ricorrere a un parere esterno da parte di persone competenti e con una vasta conoscenza del problema: quello delle bloggers e attiviste proprietarie del blog e del profilo instagram Witty Wheels, nonché autrici del libro “Mezze Persone – Riconoscere e comprendere l’abilismo” edito da Aut Edizioni.

Le autrici con molta disponibilità hanno risposto alle mie domande, chiarendo come l’origine di questo silenzio sia in parte dovuta al fatto che l’abilismo sia un’oppressione ancora forte e normalizzata, talmente interiorizzata da passare inosservata. Secondo le attiviste questa indifferenza è dovuta alla classificazione delle persone disabili come improduttive (e poco sfruttabili), fenomenologia che porta all’esclusione di esse in ambienti lavorativi, scolastici, culturali e ricreativi immersi nell’ottica capitalista che porta ogni aspetto della vita a una competitività poco sana, il bisogno di produttività a cui vengono legati standard irraggiungibili, e una grande attenzione verso la singola performance.

Tutti questi aspetti entrano in contrasto con il mondo delle persone che convivono con una disabilità: nonostante sia un diritto avere pari opportunità l’ottica capitalista costringe sempre le persone disabili (e non solo) ad adattarsi all’ambiente e al sistema con molta fatica quando in realtà è dovere delle istituzioni e della società adattare l’ambiente alle necessità di tutti nel miglior modo possibile.

L’ottica capitalista è alla base della gran parte delle disparità e delle lesioni dei diritti fondamentali dell’uomo (primo fra tutti il diritto allo svago e al riposo), e se non basta il dovere etico del non lasciare indietro nessuno a farci sporgere la testa dovrebbe farlo la consapevolezza che la matrice è la stessa delle difficoltà che ognuno di noi vive nel proprio quotidiano; in particolare dovrebbe toccare persone attente alle tematiche sociali in cui ovviamente rientriamo noi femministx di quarta ondata avviatx verso l’intersezionalità.

Non è difficile immaginare però che dinanzi alla volontà di attivarsi si possano avere delle difficoltà a individuare i modi più efficaci per farlo; grazie all’aiuto delle Witty Wheels ho individuato una serie di “primi passi” da poter attuare all’interno del percorso verso la parità: la prima cosa da fare è sicuramente unirsi alle proteste e alla lotta contro il malfunzionamento del sistema di assistenza personale fornito alle persone non autosufficienti, partecipando fisicamente ma anche dandogli voce, una massima da applicare poi a tutto il contrasto all’abilismo che viaggia ancora sotto silenzio. Un modo per poter diffondere consapevolezza e fare luce sull’argomento è la rappresentazione artistica, musicale, cinematografica, etc.. Per studentesse e studenti e tuttx lx femministx di giovane età è importante partire dall’ambiente scolastico e renderlo più funzionale per i propri compagni disabili, battendosi per un dialogo efficiente tra scuole e Comuni, facendosi portavoce delle necessità dei propri compagni disabili e tenendone sempre conto nell’organizzazione degli eventi scolastici, oltre che sensibilizzando gli studenti sul tema. Le modalità possono essere molteplici, ma la considerazione finale è certa: non è più possibile ignorare l’abilismo quando si parla di politica e società, soprattutto se ci si batte al fine di rendere il nostro sistema equo e inclusivo.

Noemi Rosa, studentessa di Prime Minister Napoli

Prime Minister
Prime Minister è una scuola di politica per giovani donne di un’età compresa fra i 14 e i 19 anni. La scuola ha l’obiettivo di formare giovani ragazzə su temi politici e sociali attraverso incontri e workshop con personalità della politica, dell’attivismo civico e della società civile. Prime Minister scommette sulle giovani leader affinché diventino agenti di cambiamento nelle proprie comunità, città e nazioni.

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