Cosa hanno in comune un paio di scarpe da ginnastica, una tuta, un sacchetto e un paio di guanti? La risposta è il plogging, ovvero una nuova attività sportiva che combina lo sport e l’ecologia. Il termine deriva dal verbo svedese plocka upp (raccogliere) unito alla parola inglese jogging. L’obiettivo è quello di conciliare la classica corsa sportiva a passo lento con la raccolta dei rifiuti che si trovano lungo il sentiero che si ha intenzione di percorrere.
Nato in Svezia nel 2016, verso la fine dello scorso anno il plogging ha cominciato a diffondersi anche in altre nazioni, partendo dalla Germania fino ad arrivare negli Stati Uniti. L’idea da cui prende vita questa nuova disciplina sportiva è nata proprio negli Usa, precisamente a Louisville nel Kentucky, dove nel 2014 sono state organizzate le prime “Trash Run” basate sullo stesso principio: ripulire l’ambiente mentre ci si mantiene in forma. Fortunatamente anche in Italia c’è chi comincia a praticare e diffondere questa nuova idea di sport.
Come praticarlo? Niente di più semplice. Oltre alla tuta e alle classiche scarpe da jogging è sufficiente munirsi di un sacchetto, una paletta e dei guanti. Grazie ai social network questa pratica si sta diffondendo sempre di più. Sulla rete possiamo infatti trovare una pagina Facebook di riferimento e inoltre stanno nascendo nuove app per i nostri smartphone utili a scegliere i percorsi più adatti, come quella creata dal Run Eco Team, un’iniziativa nata su Facebook nel 2016 per opera di Nicolas Lemonnier, osteopata di Nantes, il cui motto è “Correre per un mondo più pulito“.
Chi lo pratica assicura che il plogging rappresenta non solo una pratica utile alla salvaguardia dell’ambiente ma, con i giusti miglioramenti ginnici, può costituire un nuovo tipo di allenamento molto efficiente poiché in esso sono presenti i benefici della corsa e quelli derivanti dallo squat, l’esercizio di tonificazione muscolare riguardante la parte bassa del corpo umano. Inoltre con l’aumentare dei chilometri percorsi il sacchetto continuerà a riempirsi aumentando così il peso dello stesso e di conseguenza lo sforzo fisico.
Tutto ciò può esser reso ancora più “green” prediligendo indumenti sportivi ecologici. Purtroppo ancora oggi l’industria dell’abbigliamento ha un impatto ambientale altissimo se consideriamo l’uso di materiali sintetici, l’utilizzo di pesticidi (adoperati ad esempio nelle coltivazioni di cotone) lo spreco d’acqua e le emissioni di CO2. Da qualche anno però il consumatore ha accesso a un’alternativa sostenibile. In sostituzione del classico cotone, per niente ecologico, possiamo trovare prodotti realizzati con la canapa e con il bamboo da cui si ricava una fibra morbida, anallergica e completamente biodegradabile. Inoltre una foresta bamboo è in grado di assorbire circa 5 volte l’anidride carbonica assorbita da un’equivalente foresta classica, rilasciando nell’atmosfera circa il 35% in più di ossigeno. Molte sono le aziende italiane che producono abbigliamento nel totale rispetto dell’ambiente come Yogaessential o Purotatto che è arrivata a sfruttare un materiale a dir poco insolito: il latte. Gli scarti di produzione vengono infatti lavorati fino ad ottenere un filato da cui ricavare un tessuto morbido e idratante.
Gary Snyder, poeta e ambientalista statunitense, in La Pratica del Selvatico scrive “La natura non è un posto da visitare, è casa nostra“. Possiamo certamente affermare che quest’ultimo purtroppo non è un pensiero assai diffuso. Per anni abbiamo sfruttato l’ambiente e continuiamo a farlo noncuranti degli inequivocabili e quotidiani avvertimenti che esso ci lancia. Per questo e per altri motivi ci si augura che tali attività sportive, unite ad altre pratiche eco-friendly riguardanti altri aspetti della nostra vita, prendano sempre più piede, il più velocemente possibile e in tutto il mondo, per il bene della natura e dell’uomo stesso.
Marco Pisano