Se, per gioco, la filosofia e la scienza fossero qualcosa, sarebbero un uovo e una gallina. Il loro rapporto, dunque, la diatriba che ha fatto almanaccare filosofi e scienziati sulla vera primogenitura. Tuttavia, indubbia è l’interdipendenza, sebbene una sfasatura temporale abbia creato talvolta domande e competizioni. Metaforicamente parlando, quindi, a chi spetta il ruolo dell’uno e a chi dell’altra? Scientificamente, gli studiosi hanno sciolto l’interrogativo, individuando nell’uovo il primo genitore dell’animale.
La relazione tra i due era stata, però, già oggetto di indagine da parte del filosofo Aristotele, il quale, suo malgrado, aveva assegnato il primo posto alla Gallina. Egli, infatti, aveva supposto due concetti per spiegare la realtà: atto e potenza. Il primo è la forma della materia, il secondo, anche cronologicamente, è la possibilità di tale realizzazione. In virtù di ciò, la gallina (l’atto) viene prima dell’uovo (potenza). Migliore, invece, era stata l’intuizione, nel IV e V secolo a.C, di Plutarco e Macrobio, come fa notare Ulisse Aldovrandi (1522-1605), professore di filosofia naturale a Bologna, riportando alcuni versi di Macrobio: «si ritiene, a ragione, che l’uovo sia stato creato per primo dalla natura. Infatti per primo ha origine ciò che è imperfetto e per giunta informe e attraverso qualità e tappe progressive prendono forma le aggiunte».
L’errore di Aristotele, tuttavia, è ben compensato da un modo di insegnamento davvero innovativo. Il greco, infatti, nella sua scuola (il “Liceo”) era solito discutere e insegnare ai suoi allievi mediante delle passeggiate. L’efficacia di tale metodo è stata corroborata da uno studio del 2016 da parte del Texas A&M Health Science Center School of Public Health, che ha dimostrato come stare in piedi migliori la capacità di analisi, la risoluzione dei problemi e la memorizzazione.
Probabilmente è bastato osservare e ponderare allo stesso modo, cioè attentamente, per poter possedere una verità quasi scientifica. Sarebbe già questa, forse, nella graduale fiducia di stampo razionalistico e nel metodo, la prima grande anticipazione che la filosofia, prima dell’arrivo della rivoluzione galileiana, ha fatto della scienza? Sicuramente i due elementi, filosofia e scienza, hanno condiviso, secondo gli occidentalisti, lo stesso nido: la Grecia.
Una tale congiunzione è riscontrabile in personalità che spesso hanno unito i saperi al fine di pervenire a una conoscenza profonda della realtà che consideri il perché dei fenomeni. Un esempio è Talete. Questi, partendo dal presupposto che ogni nutrimento delle cose è umido, aveva posto l’origine del cosmo (archè) nell’acqua, sostenendo che senza di essa non potesse esservi alcuna forma di vita. Una simile idea, però, fa notare Aristotele era già visibile in Omero, che aveva individuato nelle divinità di Oceano e Teti il principio della realtà. Una verità oggi appresa in modo elementare e validata scientificamente, sebbene siano state avanzate delle rimostranze, ma che in quei tempi di scontato non aveva nulla di scontato.
Occhi puntati al cielo, dunque, capaci di accendere la ragione e l’immaginazione hanno dato lo stimolo a dissertazioni di ogni tipo. È ciò che ancora una volta è avvenuto con Anassimandro, un filosofo capace di anticipare alcune verità della scienza, o quantomeno apportare nuove idee nel modo di pensare l’universo e la realtà. Anche per lui, il principio delle cose è oggetto di indagine e lo identifica in una massa infinita e indefinita (apeiron), da cui le cose si originano separandosi mediante un moto continuo ed eterno. Per mezzo di questa separazione, dunque, si genererebbero infiniti mondi. Una deduzione fuori dal comune in quei tempi, così come lo era il supposto di una forma cilindrica della Terra. Ancora più innovativa, poi, è l’idea di un’evoluzione degli uomini a partire dagli animali. Poiché, secondo Anassimandro, l’uomo non è capace di nutrirsi da sé, non può essere considerarsi la forma originaria della natura, ma derivata dai pesci.
I pensieri originali del contemporaneo di Talete da un lato hanno anticipa l’ipotesi evoluzionistica della scienza moderna, dall’altro l’infinità dei mondi e dell’universo postulati da Giordano Bruno. Il filosofo nolano, infatti, aveva una visione panteistica, cioè Dio è in tutte le cose. Per deduzione logica, se Dio è infinito, anche l’universo e chi lo abita lo sono. Considerazioni rivoluzionarie, che gli costarono la condanna al rogo, ma anche la memoria e la devozione imperiture. Ancora una volta, però, all’infinito del cosmo si ricollega la filosofia di Democrito, filosofo di Abdera del 460 a.C. Quest’ultimo è considerato il primo ad aprire la strada della scienza moderna occidentale, secondo Carlo Sini.
La filosofia di Democrito parla di atomismo. Secondo il filosofo la materia è costituita da particelle, atomi appunto, indivisibili, e assegna loro le caratteristiche di eternità e ingenerabilità. Se infatti si potessero annullare significherebbe pensare che le cose nascono dal nulla; ragionamento logicamente opinabile. La loro combinazione e disgregazione è infinita, e per questo motivo Democrito arriva a postulare, per via razionale, un’infinità di mondi e dell’universo. In sintesi, il filosofo di Abdera fa coincidere, anticipatamente, le sue riflessioni con la legge dello scienziato Lavoisier: «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Il merito di Democrito, inoltre, non si esaurisce nell’atomismo, ma nel metodo scientifico costituito dalla ricerca di oggettività della materia e delle loro cause, individuato non nel mito, ma nel meccanicismo della natura.
Filosofia e scienza, dunque, hanno dimostrato di potersi ben intrecciare, ma soprattutto di rivelare la più importante delle verità: è quando l’uomo pensa e sfrutta le sue qualità razionali e immaginative che inizia un viaggio attivo nel mondo e nella storia. Poco importa il posto che si ha nella linea del tempo, se nell’agire c’è Eros, Amore, il dio che per primo procedette alla costruzione dell’universo.
Alessio Arvonio