Scugnizzi
Bansky, Girl with Balloon (Fonte: Pixabay)

In letteratura, in musica e nello spettacolo la città di Napoli è stata rappresentata in tutte le salse e ne sono stati messi in mostra i suoi lati più bui, così come le sue inconfutabili bellezze e attrazioni. Tra le numerose opere cinematografiche che hanno reso omaggio al capoluogo campano e alla “napoletanità” oggi è bene riportare alla memoria un film un po’ datato che per anni è stato riposto nel dimenticatoio, ma a cui è riservato un posto nel cuore di tanti: Scugnizzi.

Scugnizzi
Fonte: https://napoli.itineraridellacampania.it/

Scugnizzi è un film del 1989 diretto da Nanni Loy, regista originario di Cagliari, ma napoletano d’adozione, cui firma si trova già in Le quattro giornate di Napoli del 1962. Nonostante diverse siano state le critiche negative alla regia e alla trama, il film ha riscontrato grande successo tra il pubblico anche a distanza di anni dalla sua prima uscita, tanto da ispirare il musical teatrale del 2006 C’era una volta…Scugnizzi, in cui hanno recitato personaggi come Sal Da Vinci, Pietro Pignatelli e Claudio Mattone. Inoltre, presentato nel 1989 in occasione della 46ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film ottenne di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui due David di Donatello e altrettanti Ciak d’oro nel 1990.

Come suggerisce il titolo, protagonisti sono degli scugnizzi napoletani e l’intreccio narrativo si presenta di per sé molto semplice, in contrasto con la complessità delle tematiche che si dispiegano nel corso del film. L’intera vicenda è costruita intorno alle fasi di realizzazione di uno spettacolo teatrale: Fortunato Assante, col volto di Leo Gullotta, è un mediocre direttore artistico che si ritrova ad allestire uno spettacolo i cui protagonisti saranno i detenuti del carcere minorile di Nisida. Costantemente in ristrettezze economiche e con un creditore alle calcagna, Fortunato spera di poter ricavare denaro a sufficienza per ripagare i debiti proprio con lo spettacolo che organizza, almeno inizialmente, mal volentieri.

Lo spettacolo, con tutte le sue fasi di preparazione, in realtà funge solo da cornice. Alternate alle scene della recita, vengono narrate in flashback le vicende dei ragazzini con i quali Fortunato entra in contatto così che sono proprio gli scugnizzi del carcere di Nisida, ognuno con il proprio pesante bagaglio sulle spalle, a prendersi pian piano l’intera scena.

Proprio come con una cinepresa il registra passa dal generale, lo spettacolo, zoomando sempre più sul particolare, le storie personali dei ragazzini, fatte di violenza, furti, corruzione, e chi più ne ha più ne metta. Ed è così che lo spettatore conosce le storie di ognuno degli scugnizzi: il piccolo Cazzillo spaccia droga fin da piccolissimo; Gennarino avrebbe dovuto commettere un omicidio per ottenere “un posto fisso” nella Camorra; Beniamino avrebbe derubato proprio a Fortunato, il quale però decide di ritirare la denuncia. Sotto questo sottile strato di violenza e delinquenza, c’è tuttavia tanta bontà e umanità in ognuno di loro: Salvatore, ad esempio, ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare, ma mostra di essere di animo nobile soprattutto nel voler “salvare” la ragazzina a cui è legato dalla prostituzione. Il cuore dei ragazzini è evidente anche nel tentativo di proteggere ad ogni costo “o Nonno”, che ormai ha compiuto 18 anni e potrebbe finire presto nel carcere “dei grandi”.

La colonna sonora, filo conduttore dell’intreccio, diventa la voce narrante della storia e le canzoni sono la voce dei ragazzini, un modo per esprimere tutto ciò che hanno nel profondo del proprio animo. Ma “pure ‘e figli ‘e zoccole so’ ffigli”, un verso che racchiude il significato dell’intero film: anche coloro che rubano, spacciano, o chissà che altro, sono figli, o meglio, sono persone e non sempre sono da condannare per le loro azioni.

Scugnizzi
Fonte: pexels

Narrando le loro storie, questi piccoli delinquenti vengono mostrati per quello che sono, dei bambini abbandonati a sé stessi e che sono stati travolti da qualcosa di più grande di loro. Tematiche come la camorra, la criminalità in generale, il disagio giovanile, la povertà, etc., vengono affrontati dal punto di vista infantile, mettendo in luce degli aspetti che altrimenti difficilmente si considererebbero. È indubbio che la violenza e la criminalità siano da condannare, ma è anche vero che gli scugnizzi sono soprattutto persone, vittime di un sistema e di una società che li ha fatti criminali e che non gli ha permesso di sbocciare. Dinanzi a questa consapevolezza è difficile prendere posizione.

E da sfondo alle vicende narrate c’è il folklore napoletano, c’è Nisida, c’è il San Carlo, in cui viene rappresentato lo spettacolo finale, e c’è la Napoli in delirio per la vittoria dello scudetto che, proprio sul finale, è rappresentata come una città che resta indifferente a quanto sta accedendo dietro le quinte. Metafora molto forte. La città sa quello che accade dietro le quinte della vita di ogni scugnizzo, ma non può far altro che rimanere indifferente, con la sua bellezza immutabile. Il messaggio conclusivo del film sembra proprio essere un’invocazione all’umanità.

Oltre al valore artistico, il film vanta sicuramente di un valore storico e affettivo, in quanto rappresentazione della Napoli dei nostri nonni, la Napoli dei vasci, delle zoccole nelle case, dei bambini e miez’ a via, una realtà che sembra essere così lontana per noi cresciuti tra mille comodità. Lo si può amare o meno, ma un film simile colpisce oggi forse ancora più che negli anni ’90 e, accanto ai numerosi premi, Scugnizzi ha sicuramente guadagnato un posto nel cuore di molti.Mentre a chi non l’ha ancora visto, c’è sempre una prima volta.

Nunzia Tortorella

Nunzia Tortorella
Avida lettrice fin dalla tenera età e appassionata di ogni manifestazione artistica. Ho studiato Letterature e culture comparate all'università di Napoli L'Orientale, scegliendo come lingue di studio il tedesco e il russo, con lo scopo di ampliare il mio bagaglio di conoscenze e i miei orizzonti attraverso l'incontro di culture diverse. Crescendo, ho fatto della scrittura il mio jet privato.

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