Cop25: cronaca di un fallimento che non potevamo permetterci
Fonte immagine: africarivista.it

«Stiamo scioperando da un anno ma non è successo ancora nulla. Si sta ignorando la crisi climatica e finora non c’è una soluzione sostenibile. Non possiamo continuare così, vogliamo azione e subito, perché la gente sta soffrendo e morendo per questa emergenza climatica, non possiamo aspettare ancora». Il discorso di Greta Thunberg del 6 dicembre, a quattro giorni dall’inizio della Cop25, sembra essere una premonizione di quello che accadrà, o meglio, non accadrà a conferenza finita. La venticinquesima Conferenza delle Parti convocata dalle Nazioni Unite per discutere le soluzioni all’emergenza climatica non rappresenta altro che un fallimento totale, un’attentato al futuro, uno schiaffo alle generazioni che verranno.

Cop25, ovvero il trionfo dell’egoismo capitalista

Poco più di due settimane fa, esattamente il 2 dicembre, si apriva con le migliori speranze, con i più fausti auspici la Cop25 di Madrid. A quattro anni dalla ventunesima Conferenza delle Parti in cui 195 Paesi raggiunsero l’Accordo di Parigi, nulla sembra essere cambiato nelle intenzioni di quelle stesse nazioni. Proprio il sesto articolo del suddetto accordo, che regola il mercato internazionale delle quote di carbonio, è stato il principale motivo di scontro e prima causa del fallimento della venticinquesima Conferenza. Prima di analizzare l’articolo e cercare di capire il perché dell’insuccesso della Cop25 si rende necessario, per i meno esperti, chiarire uno degli aspetti fondamentali e meno conosciuti della questione climatica: il carbon budget. Il bilancio di carbonio indica la quantità di CO2 che possiamo ancora emettere in atmosfera senza superare la soglia degli 1,5 gradi centigradi di aumento della temperatura globale. Secondo il Mercator Research Institute on Global Commons and Climate Change a oggi il suddetto budget rimanente si attesta attorno alle 337 miliardi di tonnellate di CO2.

Cop25: cronaca di un fallimento mondiale
The Carbon Clock
Immagine: www.mcc-berlin.net

Come si legge dal sito dell’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, «L’accordo di Parigi richiede a ciascun paese di delineare e comunicare le proprie azioni per il clima post 2020, note come NDC». Tali contributi determinati a livello nazionale (NDC) indicano gli sforzi di ciascun Paese atti a ridurre le emissioni nazionali e adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi permette ai Paesi di collaborare al fine di attuare i suddetti contributi utili al taglio delle emissioni. Nella pratica, l’articolo oggetto di controversie fa sì che le nazioni che inquinano di meno possano cedere le proprie quote di emissione ai Paesi che inquinano di più. Il disaccordo sul sesto articolo dell’Accordo di Parigi non è il solo risultato deludente: dalla Cop25 si esce infatti senza nessun accordo riguardante l’obbligo per le singole nazioni di far pervenire piani certi utili a ridurre le emissioni di gas inquinanti.

Dura la denuncia di Greenpeace secondo cui, invece di ascoltare gli scienziati che ormai da troppo tempo chiedono una seria lotta all’emergenza climatica, «…i politici si sono scontrati sull’Articolo 6 relativo allo schema del commercio delle quote di carbonio, una minaccia per i diritti dei popoli indigeni nonché un’etichetta di prezzo sulla natura. Ad eccezione dei rappresentanti dei Paesi più vulnerabili, i leader politici non hanno mostrato alcun impegno a ridurre le emissioni, chiaramente non comprendendo la minaccia esistenziale della crisi climatica».

Il 2020 anno della svolta

Gli interessi economici vincono alla Cop25. Non a caso i Paesi più inquinanti quali Cina, Stati Uniti, India, Giappone, Brasile e Arabia Saudita hanno ostacolato l’accordo con il quale si chiedeva alle nazioni di sottostare a regole più ferree atte a ridurre le emissioni di gas serra. Per Manuel Pulgar-Vidal, leader globale del WWF su clima ed energia, «Nonostante gli sforzi della Presidenza cilena, la mancanza di impegno per accelerare e incrementare l’azione climatica da parte dei grandi Paesi produttori di emissioni era troppo forte. La loro posizione è in netto contrasto con la scienza, con le crescenti richieste provenienti dalle piazze e i duri impatti già avvertiti in tutto il mondo, in particolare nei Paesi vulnerabili».

Cop25: cronaca di un fallimento mondiale
I Paesi più inquinanti al mondo
Immagine: globalcarbonatlas.org

Le brutte notizie non arrivano mai sole. Se esiste una certezza nel sempre più precario futuro dell’umanità è quella riguardante le nazioni più povere. Coloro che hanno contribuito meno alla crisi del clima stanno pagando e continueranno a pagare il prezzo più alto in termini di disastri ecologici. Viceversa, i Paesi più sviluppati al mondo, quelli che hanno contribuito maggiormente all’emergenza climatica, pagheranno il prezzo più basso. Tra questi ultimi gli Stati Uniti, che hanno già annunciato il ritiro dall’Accordo di Parigi e che nella Cop25 hanno ostacolato le disposizioni per compensare i Paesi più poveri per perdite e danni subiti da catastrofi legate al clima.

Tutto rimandato alla Cop26 che si terrà l’anno prossimo a Glasgow, in Scozia. Secondo il ministro dell’ambiente Sergio Costa nel 2020 «L’Italia svolgerà un ruolo chiave, perché, oltre ad ospitare la Pre-Cop, organizzerà un evento in cui i giovani selezionati da tutti e 198 Paesi del mondo si incontreranno a Milano per portare poi la loro dichiarazione e la loro visione del futuro a Glasgow». Proprio il 2020 dovrà essere l’anno della svolta. Lo conferma la scienza, lo ribadisce Greta Thunberg secondo cui «In meno di tre settimane saremo in una nuova decade, importantissima: deciderà il nostro giro. Cosa faremo nei prossimi dieci anni influenzerà le nostre vite, quelle dei nostri figli e dei nostri nipoti. Il 2020 è l’anno delle azioni».

Marco Pisano

Marco Pisano
Sono Marco, un quasi trentenne appassionato di musica, lettura e agricoltura. Da tre e più anni mi occupo di difesa ambientale e, grazie a Libero Pensiero, torno a parlarne nello spazio concessomi. Anch'io come Andy Warhol "Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare". Pace interiore!

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