«Ad ogni azione corrisponde sempre una uguale ed opposta reazione», scriveva Isaac Newton formulando i principi della dinamica. Questioni di fisica, che però possono contribuire a chiarire il quadro circa le cause dei recenti attentati di Parigi.
E se provassimo a far salire sul banco degli imputati, quale elemento che ha contribuito alla riuscita degli attacchi in Francia, uno dei punti di riferimento delle “avanzate” culture liberali, ovverosia il concetto di multiculturalismo?
Questo non vuole essere un banale o provocatorio esercizio di becera retorica populista, bensì vuole essere una riflessione circa punti che non siamo abituati a considerare, poiché è troppo semplice andare ad individuare le colpe in soggetti esterni dimenticando volutamente le proprie responsabilità. Siamo Charlie, siamo francesi, siamo parigini, siamo tutto meno che disposti ad ammettere che forse qualcosa l’abbiamo sbagliato anche noi, che forse anche noi abbiamo contribuito a quelle morti e ad un clima di violenze e di terrore.
Colpisce un post scritto a caldo su una board internazionale, venerdì notte, da un anonimo utente serbo: «I musulmani vi hanno attaccati e ve lo siete meritato. Quando eravamo noi cristiani a difenderci dai musulmani nel 1995 la Francia e la NATO hanno bombardato cristiani civili, combattendo al fianco dei musulmani. Stasera io godo, e smetterò di farlo solo quando il numero delle vittime sarà pari a quello dei civili uccisi da loro». Europei sì, ma divisi per cultura, l’una fieramente cristiana in una zona di confine con l’Islam, l’altra storicamente laica lì dove i seguaci del Corano non mettono piede dai tempi delle imprese della Chanson de Roland.
Lo scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi, nel suo libro “Mio figlio il fanatico” del 1998, metteva già in guardia dal rischio dell’islamismo di ritorno presso gli immigrati di seconda generazione. Delusi dalla società occidentale nella quale vivono e dalla sua empietà valoriale, questi giovani si rivolgono alle culture d’origine, che spesso nel tentativo di integrarsi completamente nel tessuto sociale vengono camuffate o dimenticate dai genitori e non vengono trasmesse ai figli. Come possono razionalmente andare d’accordo il concetto che le idee e le religioni di tutti sono egualmente valide e sullo stesso piano, quando religiosamente ogni confessione è detentrice della Verità assoluta, e dunque tutte le altre sono erronee? È un concetto non considerato dai teorici del multiculturalismo e della completa assimilazione etnica e culturale.
Reazioni e premesse, queste, che minano alla base il concetto di multiculturalismo promosso dalle società liberali: non è infatti una coincidenza che le più recenti rivolte degli immigrati siano avvenute nelle banlieues di Parigi – come eccellentemente è raccontato su PrismoMag in un articolo che vale la pena leggere – nei quartieri periferici di Londra, come esplicitato da Kenan Malik su Foreign Affairs, e nell’avanguardia del liberalismo europeo, Stoccolma, nonché in Danimarca, dove il fallimento del modello di multiculturalismo è attestato dall’Economist.
Non è nemmeno casuale il ruolo del multiculturale Belgio, già diviso in una difficile tra valloni francesi e fiamminghi olandesi, da anni meta di immigrazione maghrebina e levantina: basti ricordare l’attacco al Museo Ebraico di Bruxelles, la sparatoria di Verviers, l’attacco sul treno Amsterdam-Parigi e le varie cellule di al Qaeda e dell’ISIS presenti sul territorio belga fin dagli anni Novanta.
Se l’Italia è al momento immune alla minaccia dei foreign fighters, pur essendoci stati alcuni casi già in questi anni, è perché il clima di diffidenza e di difficile integrazione, unito al mancato raggiungimento del “punto di non ritorno” già concretizzatosi in Francia e Inghilterra, ha fatto sì che la nostra “arretratezza culturale” ritardi nei fatti una possibile esplosione antioccidentale nelle periferie italiane, posticipandole almeno al 2020, se non più tardi: motivo per il quale l’allarmismo per eventuali attacchi a Roma durante l’ipersorvegliato Giubileo è ingiustificato se si fa riferimento ad attentatori “italiani” ed eccessivo nel caso di attentatori provenienti dall’interno dell’Unione.
Certo è che i finanziamenti più o meno nascosti ed il sostegno da parte di persone e organizzazioni da 40 paesi, tra cui anche membri del G20, all’ISIS – si hanno validi indizi contro Turchia, Arabia Saudita, Qatar e Stati Uniti – non giocano a favore del dialogo, ma anzi esacerbano le già forti tensioni tra musulmani e cristiani, tra gruppi etnici e tra Stati, in nome di interessi economici e geopolitici che si impongono sul benessere delle popolazioni e sulle loro vite, sia nel tormentato Medio Oriente, sia nella (in)sofferente Europa.
Simone Moricca