Jack London, «Martin Eden»: uno struggente romanzo di formazione
Martin Eden Film (MyMovies)

Lo scrittore americano Jack London ha inizialmente pubblicato Martin Eden a puntate sulla rivista Pacific Monthly dal settembre 1908 al settembre del 1909. Successivamente il romanzo viene pubblicato in un unico volume nello stesso settembre del 1909. Martin Eden è il primo romanzo di London scritto dopo il suo sfortunato viaggio nei mari del Sud a bordo del suo yacht: lo Snark. Ma non è il suo primo romanzo di formazione, giacché con le sue opere precedenti, Il richiamo della foresta e Zanna Bianca, ha già affrontato il tema della sopravvivenza e della crescita individuale in ambienti estremamente ostili.

Martin Eden è considerato uno dei romanzi «arrabbiati» della letteratura americana, giacché viene criticata aspramente la società borghese d’inizio ‘900. Infatti, Jack London – attraverso il protagonista del suo scritto – esprime una rabbia viscerale nei riguardi dei milieu sociali e culturali americani imbevuti di princìpi e ideali borghesi.

Martin eden
Jack London (Corriere della Sera)

Martin Eden: la trama

Martin Eden è un giovane marinaio gagliardo, rozzo e speranzoso di umili origini, dedito al vagabondaggio, allo sforzo fisico, all’alcool e alle donne. Al termine d’un suo viaggio sbarca a San Francisco e si ritrova a vivere in uno sciatto appartamento in affitto. Casualmente un giorno si batte per difendere durante una lite un tale Arthur Morse, ovvero un facoltoso studente universitario, quest’ultimo poi in segno di riconoscenza invita insistentemente Martin nella sua agiata dimora. Martin, una volta giunto lì, viene pervaso da un intenso senso di stupore per via del lusso e della bellezza della dimora, ma soprattutto viene folgorato dalla splendida ed eterea Ruth Morse, la sorella di Arthur.

Ruth con i suoi occhi color oceano e la sua bionda e voluminosa chioma ammalia terribilmente Martin.

 «Era uno spirito, una divinità, una dea; una bellezza così sublime non era di questo mondo. O forse i libri avevano ragione, e nelle classi sociali più elevate c’erano molte persone come lei».

Martin Eden
Martin Eden e Ruth Morse Film (Il Centro)

 Lei è una donna raffinata e molto istruita appartenente alla ricca borghesia, mentre lui è un «lupo di mare» ruvido e poco colto. Dunque, Martin ossessionato dall’idea di non essere all’altezza di Ruth, decide di affrancarsi dall’ignoranza e dall’abbrutimento, entrambi figli della vita dei bassifondi e al contempo decide d’intraprende un percorso di nobilitazione morale e intellettuale.

Da quel momento in poi, il giovane marinaio con la sua brama di riscatto sociale si focalizza sulla propria crescita interiore e sull’acuto desiderio di divenire uno scrittore e di sposare l’affascinante Ruth. Pertanto, fra lavori mal ricompensati ed estenuanti, e giornate intere trascorse in biblioteca a leggere e ad apprendere, cerca di conseguire questo suo ardente sogno. Martin, infatti, febbricitante scrive di notte e di giorno inviando ostinatamente le proprie novelle e i propri manoscritti a riviste e a case editrici, ma puntualmente vengono rifiutati e rispediti al mittente. Durante questo periodo di affaccendamenti, egli è ospite presso la casa della famiglia di sua sorella ma un giorno per via d’un acceso dissapore viene cacciato dal gretto coniuge di lei. Inevitabilmente ciò lo costringe, per via delle ulteriori ristrettezze economiche, a lavorare più intensamente in una tintoria e infine a rifugiarsi nella miserevole casa d’una vedova d’origine portoghese, Maria Silva.

Nemmeno la bella Ruth – anch’essa di lui ormai innamorato, nonostante la contrarietà della famiglia – riesce a dissuaderlo dalle sua irruenti ambizioni di fama. Tanto meno ci riesce la modesta operaia Lizzie, invaghitasi fortemente di lui.

Martin tra le sue esigue ore di sonno e le sue interminabili letture non si rende conto che dalle parole di Ruth, che lo intima a non intraprendere la carriera da scrittore, traspare il desiderio di non voler sposare un vero artista o un uomo dal nobile spirito bensì un affermato borghese. Lui invece dopo aver preso coscienza della propria condizione sociale, scruta nel sapere la concreta possibilità d’emanciparsi e disfarsi d’una vita che non gli appartiene più.

Martin Eden si avvicina alla filosofia dell’«evoluzionismo cosmico» di Herbert Spencer, infatti s’innamora della biologia e ciò fa maturare in lui una visione totalizzante della realtà e una sensibilità individualistica. Nonostante si ritrovi a partecipare a delle radunate di organizzazioni filo-socialiste, preserva la sua visione individualista perché convinto che i deboli possano migliorarsi in quanto individui coscienti e facendo ciò non sarebbero più dovuti soggiacere a nessun padrone o capo-partito. Ciò lo porta a scontrarsi inevitabilmente anche con la famiglia di Ruth e ad allontanarsi dalla sua amata.

L’aspirante scrittore brama fervidamente la verità più di qualsiasi altra cosa, anche più del proprio tornaconto economico. Purtroppo la verità vende poco o nulla.

Martin Eden è un uomo lacerato dallo stridente dissidio tra l’incessante e allettante richiamo dell’ideale borghese e il grido risonante e disperato del proletariato.

Malgrado tutto, l’ormai ex-marinaio riesce a raggiungere l’agognata notorietà. Il suo frustrante e tortuoso percorso lo conduce al successo, tanto fiorente quanto inutile. La sua realizzazione come scrittore rinomato anziché concedergli maggiore libertà lo rende schiavo dell’industria editoriale e culturale. Nonostante l’opinione pubblica e le case editrici lo osannino, in lui s’instillano disillusione e depressione a causa dell’amara consapevolezza del fatto che l’inebriante e fittizia celebrità è solo rumore e stordimento, nulla più. Dunque, l’annichilimento che ha da sempre combattuto, ora s’insinua subdolamente nel suo animo e fagocita tutto. Dopo varie vicissitudini che amplificano il suo enorme successo, l’irrefrenabile e angosciante malessere conduce Martin Eden alla totale dissoluzione fisica e spirituale.

Martin Eden
Martin Eden di P. Marcello (Il Napolista)

L’oceano gli ha donato la sua primigenia e indomabile raison d’être, ora in quelle stesse distese d’acqua Martin Eden compie la sua fine. Lì trova la quiete eterna.

«Giù, sempre più giù, nuotò finché gambe e braccia si stancarono e non riuscivano più a muoversi. Sapeva di essere in profondità. […] La sua resistenza cominciava a cedere, ma costrinse gambe e braccia a spingerlo ancora più in fondo, finché la sua volontà si spezzò e l’aria gli esplose fuori dai polmoni in un gran fiotto. […] Quindi arrivò il dolore e il senso di soffocamento. Il dolore però non era la morte. […] La morte non faceva male. Era la vita, gli spasimi della vita, a dargli questa sensazione soffocante e tremenda. […] Sentì un lungo frastuono e gli parve di precipitare giù per un’immensa e interminabile scalinata. Da qualche parte, lì in fondo, piombò nelle tenebre. Questo soltanto sapeva. Era piombato nelle tenebre. E nel momento stesso in cui lo seppe, smise di sapere».

Martin Eden: un’autobiografia di Jack London

La vita erratica, furente e propulsiva di Martin Eden rispecchia molto la vita del suo stesso autore, Jack London. Entrambi condividono la passione smodata per l’oceano, le esperienze lavorative usuranti, gli umili natali e il clamoroso successo. Infine entrambi vivono un rapido disfacimento fisico e una straziante disillusione. London muore quarantenne logorato dall’eccessivo consumo d’alcool.

Dunque, in questo struggente romanzo di formazione si avverte l’incendiarsi nelle pagine d’una storia travolgente dal carattere universale. Il costante contrapporsi tra tenebre e luce, l’inconciliabile contrasto – durante un’epoca turbolenta – tra classi sociali abbienti e malfamate, l’insanabile dissidio interiore tra sogno e brutale realtà, infine l’imperitura necessità del soggetto di conoscere ed emanciparsi in netto contrasto con le convenzioni e le convinzioni del suo tempo.

Jack London critica appunto attraverso il suo scritto sia la weltanschauung della classe borghese americana sia lo sfrenato e mendace «individualismo nietzschiano»: ambedue ancelle d’un capitalismo disumano.

London cerca in ogni modo di porre in evidenza la verità e la povertà dell’uomo a ogni latitudine, cerca di sublimare e documentare la vita degli «invisibili» e allo stesso tempo di ribellarsi alle iniquità dell’ordine costituito.

Martin Even
Jack London (Intravino)

«Questa è la mia visione. Guardo al futuro, a un tempo in cui l’uomo progredirà verso qualcosa di più degno e più alto del suo stomaco, quando ci sarà una motivazione più sottile che spinga gli uomini all’azione che quella di oggi: lo stomaco. Mantengo la mia convinzione della nobiltà e dell’eccellenza del genere umano. Credo che la dolcezza spirituale e l’altruismo avranno la meglio sulla grossolanità della gola. E ultimo di tutto, la mia fede è nella classe operaia. Come ha detto un francese: ”La scala del tempo fa sempre eco alla scarpa di legno che sale, mentre lo stivale tirato a lucido discende”». (J. London)

Gianmario Sabini

Gianmario Sabini
Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Achille Lauro e Israele. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

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