Il Bhutan, piccolo stato asiatico situato nella catena dell’Himalaya, è diventato famoso per il proprio approccio sociale allo sviluppo interno del Paese. Infatti dagli anni settanta, sotto la guida del re Wangchuck, il calcolo del PIL è stato sostituito da un concetto che vede la crescita come risultato multidimensionale che punta alla felicità dell’individuo, essenza principale dello sviluppo economico. Tale orientamento alternativo prende il nome di FIL ovvero Felicità Interna Lorda e si basa sull’implementazione concreta di quattro elementi fondamentali: lo sviluppo umano, la governance, lo sviluppo equilibrato ed equo, il patrimonio culturale e la conservazione dell’ambiente.
Il Bhutan è uno dei Paesi più poveri dell’Asia, ma è una delle nazioni più felici al mondo.
Questo concetto è anni luce lontano dalla nostra visione di sviluppo e sembra quasi appartenere ad un altro pianeta, confrontato alla nostra società che si muove a ritmi frenetici e dove gli squilibri macroeconomici comportano elevati livelli di stress internazionali, viene ripreso dalle grandi multinazionali nel rapporto con i propri dipendenti.
La classifica delle migliori multinazionali dove lavorare stilata da Great Place to Work vede Google al primo posto. Oltre ai salari e ai benefit che i propri dipendenti ricevono, il colosso ha investito in particolar modo nella ricerca e sviluppo delle Human Resources (risorse umane), chiamando questo reparto “People Operations” (POPS), il quale compito è individuare i problemi e trovare una soluzione. Dalle ricerche e dagli studi effettuati è emerso come la felicità anche nelle più piccole cose producesse un elevato ROI (return on investiment), se si considera l’impiegato come un investimento effettuato dall’azienda: la coda ideale alla mensa della durata giusta per avere l’opportunità di socializzare; il diametro dei piatti per un pasto sano e non troppo abbondante; la qualità e quantità di coaching ai manager sono alcuni esempi.
L’attenzione all’impiego di risorse umane per massimizzare i profitti e la produttività è un argomento vitale per qualunque business e l’orario di lavoro ne è un aspetto cardine. Come ha spiegato Oliver Burkeman, sempre più aziende del ramo tecnologico stanno sperimentando settimane lavorative brevi, perché risulta lampante come nel momento in cui il cervello si stanca non riesca più a raggiungere il necessario livello di produttività per l’azienda.
Bertrand Rusell, filosofo e saggista gallese, nel suo “Elogio dell’Ozio” specifica come la felicità affinché sia pienamente appagante debba essere accompagnata dal “pieno esercizio delle nostre facoltà e dalla più completa realizzazione del mondo in cui viviamo”. E se la produttività è legata alla felicità dell’impiegato, è evidente come lo sfruttamento per un tempo troppo lungo delle sue capacità intellettuali sfavorisca il rendimento aziendale.
L’ analisi effettuata dall’OECD, percorrendo i dati raccolti dal 1992 al 2012, mostra come la Crescita PIL sia inversamente proporzionale all’orario di lavoro per persona.
In Germania si lavora mediamente 1.400 ore l’anno ma la produttività è di circa il 70 per cento più elevata. In Italia si lavora 200 ore in più e, secondo l’indice elaborato dallo stesso ente, la qualità della vita (Better Life Index) è una delle peggiori confrontate con gli altri paesi del nostro Continente. Il primo Studio sul Tasso di Felicità commissionato dalle Nazioni Unite (World Happiness Report) posiziona l’Italia al 28° posto nella classifica mondiale dopo l’Inghilterra, la Spagna e la Francia, e mette ai primi posti, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda.
I dati economici e statistici confermano così le parole dell’economista scozzese che gettò le basi dell’economia politica classica, Adam Smith: “L’uomo che lavora in modo moderato da poter lavorare costantemente, non solo conserva la sua salute il più lungo, ma nel corso dell’anno, esegue la maggior quantità di opere”.