Il monitoraggio di Amnesty presenta un quadro sconcertante: in rete, il 10% dei commenti ha a che fare con linguaggio d’odio, discriminazione o violenza. Da questi dati, emerge la necessità del barometro dell’odio a cui ha provveduto la ONG.
Quanto odio c’è online?
Da poco è stato pubblicato il “barometro dell’odio”, l’ultimo rapporto di Amnesty International Italia che analizza il livello di discriminazione e di hate speech sulle piattaforme social. Sono stati presi in esame post, tweet, commenti per oltre 36.000 contenuti unici da 38 tra pagine e profili pubblici di politici, testate giornalistiche, organizzazioni sindacali e vari enti legati al welfare. Il progetto ha analizzato e monitorato i discorsi di odio online, coinvolgendo circa 80 attivisti di Amnesty International Italia affiancati da esperti nella valutazione dei contenuti.
Nuove discriminazioni sono state portate alla luce durante questa crisi, soprattutto si è scatenato un odio profondo verso i cosiddetti “untori”: migranti e rifugiati sono diventati il perfetto capro espiatorio per gli odiatori, assieme a operatori sanitari, runner e coloro i quali godono di presunti benefici. La crisi sanitaria, economica e sociale ha spalancato le porte a un odio che colpisce in maniera trasversale: omobitransfobico, razzista, sessista, xenofobo, islamofobo, antiziganista, antisemita e classista. Tutto ciò rende ancora più vulnerabile chi è già discriminato ed escluso, come emerge chiaramente dal barometro dell’odio di Amnesty.
Non è solo il dibattito online sui social ad aumentare il rischio di marginalizzazione sociale: un ruolo fondamentale lo svolge la comunicazione istituzionale. Questo tipo di comunicazione può essere più o meno inclusiva, può includere o escludere quella parte di popolazione che ha più difficoltà ad accedere a questo determinato tipo di informazioni, perché hanno un grado di alfabetizzazione e di conoscenza della lingua minore, più scarse competenze digitali o sono colpite dal digital divide.
Dall’ultimo rapporto di Amnesty International Italia, riassunto nel barometro dell’odio, è emerso che:
- i commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech (+0,5% rispetto alle scorse edizioni). Si offende di meno, si incita di più all’odio;
- l’odio online è più radicalizzato quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali (DESC): circa 10 commenti su 100 sono offensivi e/o discriminatori o hate speech;
- i dati aumentano quando questo tipo di contenuti incrocia altri temi: nei post/tweet che parlano di DESC e di “rom” allo stesso tempo, la percentuale sale al 43,2%; nel caso di DESC e “immigrazione” al 20,2%. Nei commenti, quando i temi sui DESC si sovrappongono a “rom” e “immigrazione”, i dati arrivano rispettivamente al 45,2% e al 34,2%;
- le principali sfere dell’odio sono: nei post/tweet islamofobia (46%), sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%); nei commenti islamofobia (21%), razzismo (19,6%), antiziganismo (19%), antisemitismo (16,6%), omobitransfobia (14,5%). Andando oltre le prime cinque sfere dell’odio più diffuse tra i commenti, troviamo quella classista (11,2%);
- la crisi sociale, economica e sanitaria, ha reso la caccia all’untore ancora più frenetica, facendo emergere nuove vulnerabilità;
- la Facebook reaction “rabbia” è espressa con maggiore frequenza dagli utenti in risposta a post/tweet dei politici.
Tra le tecniche usate dagli haters c’è quello di aizzare i follower contro chi non può controbattere; individuare nel “diverso” comportamenti socialmente pericolosi e tratti negativi; utilizzare il metodo del benaltrismo. I dati raccolti dal barometro dell’odio poi mostrano che si offende meno in maniera diretta ma si incita di più all’odio e che l’intolleranza online emerge in maniera più pressante quando si incrociano temi legati ai diritti economici, sociali e culturali.
Il barometro dell’odio: pandemia, comunicazione e discriminazione
Amnesty International include nel rapporto del barometro dell’odio un approfondimento sul tema “Pandemia, comunicazione, discriminazione”: partendo dall’analisi dei testi di comunicazioni, atti e provvedimenti scelti e usati dalle istituzioni durante la fase due della pandemia si sottolinea come sia prevalsa una inquadratura di stampo emergenziale e che il linguaggio scelto per descrivere la situazione si è rivelato spesso complesso, astratto e capace di generare confusione. Questo tipo di comunicazione può raggiungere solo una fetta ridotta della popolazione, lasciando quindi come conseguenza indietro i gruppi più vulnerabili e maggiormente esposti al rischio di discriminazione sotto diversi profili. Ossia con bassa scolarizzazione, scarsa conoscenza della lingua, scarse competenze digitali.
Amnesty International Italia ritiene che il Governo debba intervenire e rafforzare le campagne di comunicazione e informazione in materia di rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione alla distruzione degli stereotipi e dei pregiudizi. Deve condannare prontamente tutti gli episodi di discorsi di odio, in particolare se veicolati da politici e soggetti che ricoprono cariche pubbliche. E deve anche promuovere e favorire nelle scuole l’alfabetizzazione digitale; promuovere politiche volte alla responsabilizzazione per un uso consapevole della Rete.
Al fine di contrastare i commenti d’odio rivolti verso le istituzioni registrati dal barometro dell’odio, bisogna poi affiancare alla produzione di testi legislativi delle note esplicative che consentano a un pubblico di cittadini più vasto possibile la comprensione delle diverse norme in vigore. Ma anche evitare l’abuso del linguaggio emergenziale qualora non necessario e preferire un linguaggio che consenta ai cittadini una presa di coscienza chiara sulle misure poste in essere. Chiede inoltre al Parlamento di approvare, senza ulteriore ritardo, le proposte di legge recanti “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità“.
Una denuncia in difesa dei diritti, una esortazione ad agire in maniera consapevole arrivando a conoscere e riconoscere linguaggi e messaggi che nascono da sentimenti di intolleranza per poter mettere in atto narrazioni differenti.
La ricerca completa “barometro dell’odio 2021 – Intolleranza pandemica” e l’approfondimento “Pandemia, comunicazione, discriminazione” sono disponibili qui, su amnesty.it.
Valentina Cimino