Matilde Serao
Ritratto di Matilde Serao

Nel cuore pulsante del tardo XIX secolo, un’ombra geniale danzava tra le strade di Napoli, dando voce alle passioni, alle speranze e alle contraddizioni di un’epoca in fermento. Matilde Serao, giornalista e scrittrice straordinaria, si ergeva come un faro nella nebbia dell’ignoranza, illuminando il cammino verso la modernità con la sua penna acuta e la sua audacia senza pari. Nata nel 1856, questa figlia indomita della città partenopea avrebbe scritto la sua storia nel tessuto stesso della cronaca giornalistica, contribuendo a plasmare l’identità di un’intera generazione.

Una donna di indole coraggiosa, che con una penna appassionata e un occhio acuto per le sfumature della vita quotidiana, ha introdotto un giornalismo che mescolava abilmente fatti e sentimenti, dando voce alle voci silenti e dipingendo un ritratto vivido della società del suo tempo. La sua innovazione nel racconto giornalistico ha aperto nuove strade nella narrazione della realtà, influenzando generazioni successive di scrittori e giornalisti.

Ma chi era Matilde Serao?

Matilde Serao nasce a Patrasso (Grecia) nel 1856, da mamma Paolina Borely, nobile greca decaduta, e da papà Francesco Serao, avvocato e giornalista napoletano (esule in Grecia perché antiborbonico). Quando i Borboni lasciarono Napoli, la famiglia Serao tornò in possesso delle sue proprietà nel casertano. Matilde visse un’infanzia tranquilla, anche se incline a preferire i giochi maschili alle “attività adatte ad una signorina” proposte dalla scuola. Era infatti uso comune del tempo educare da subito le giovani donne ai loro doveri di genere: alla domesticità, all’apprendimento di ciò a cui le donne avrebbero dovuto dedicarsi. E fu così che all’età di otto anni, la piccola Matilde non sapeva ancora né leggere né scrivere.

La sua passione per il mondo editoriale fu una pura casualità. In un pomeriggio in cui sua madre era costretta a letto da una qualche malattia, Matilde scommesse con se stessa di riuscire a imparare a leggere per intrattenerla, e così fu. Non poteva sapere che da quel momento la sua vita sarebbe cambiata irreversibilmente. Terminati i suoi studi, la scrittrice trovò lavoro presso i telegrafi di stato. Nel 1882 si trasferì a Roma, dove collaborò per oltre cinque anni con l’editoriale letterario e satirico “Capitan Fracassa”, scrivendo di mondanità, pettegolezzi e cronaca rosa. L’anno successivo pubblicò “Fantasia”, che venne aspramente criticato da colui che poi divenne suo marito nel 1885: Edoardo Scarfoglio. Nulla nella sua vita le impedì di dedicarsi alla scrittura, che sentiva parte del suo stesso sangue. E così nascono uno dopo l’altro alcuni dei suoi capolavori: “La conquista di Roma” (1885), “Il romanzo della fanciulla” (1886), “Vita e avventure di Riccardo Joanna” (1887).

Chiuso il Corriere di Roma, gravemente indebitato, la coppia e i quattro figli si spostano a Napoli, dove Matilde scriverà per il Corriere di Napoli, di cui sarà fondatrice insieme al marito Edoardo (e fonderà poi “Il mattino”). Abbandonerà poi in seguito il giornale per delle divergenze proprio con suo marito, che finirà per lasciare nel 1904, a seguito dell’ennesima delusione. Una delle amanti di Edoardo, infatti, aveva abbandonato la figlia avuta da lui e poi si era suicidata. La piccola venne presa in affidamento da Matilde stessa e dal padre naturale. Per questo e per moltissime altre disfunzioni nella coppia, i due coniugi finirono per separarsi. Qualche anno più tardi la scrittrice conobbe un altro giornalista, Giuseppe Natale, che sposò dopo la morte del marito nel 1917.

Nel 1904 fondò insieme al suo nuovo compagno “Il Giorno”. Rimasta molto presto vedova, Matilde continuò a dirigere con estrema vitalità ed impegno il giornale. Nel 1926 fu candidata al premio Nobel per la letteratura (al quale nella sua vita venne candidata per ben sei volte), ma la sua candidatura fu stroncata da Mussolini a causa delle posizioni della donna contro il fascismo e il premio fu assegnato a Grazia Deledda. Continuò a dedicarsi alla sua passione fino alla morte, avvenuta nel 1927, scrivendo alla sua scrivania. Venne poi seppellita nel cimitero di Poggioreale, nella sua amata Napoli.

Nella sua opera giornalistica si contraddistinse per aver trattato il tema del femminismo come nessun’altrə aveva fatto prima di allora. Benché la scrittura sia stata spesso etichettata come “incerta”, aprì la possibilità di vedere la figura della donna diversamente da come era stata tramandata fino a quel momento. Una donna non più sottomessa, ma padrona delle proprie decisioni, della propria vita, una donna con dei diritti.

In una delle sue opere più celebri “Il ventre di Napoli” (1884), Serao prende una posizione anti-emancipazionista contro lo sfruttamento della donna e tratta il tema della povertà. Di lei scriveranno anche molti grandi della letteratura, tra cui Henry James, Croce, Carducci, ma anche un’altra grande scrittrice, Edith Wharton, che, dopo averla incontrata, scrisse: «Ella non cercava di profetare e di predominare: ciò che le interessava era di comunicare con persone intelligenti. Cultura ed esperienza si fondevano in lei nello splendore di un saldo intelletto».

È quindi chiara l’impronta che Matilde Serao ha lasciato impressa nella storia della letteratura italiana e nel panorama giornalistico, continuando ad ispirare e a raccontare le storie che amava raccontare di sua penna, a suo modo. Rivoluzionando la scrittura stessa e non collocandosi mai sotto nessuna etichetta letteraria, sotto nessuna corrente… Se non la propria.

Giulia Costantini

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