Un esito che ha tenuto sulle spine l’intera Spagna, quello del voto definitivo sulla legge che legalizza l’eutanasia. L’iter era iniziato nel dicembre scorso e si conclude il 18 marzo con 202 favorevoli, 141 contrari e 2 astenuti. Così la Spagna è il quarto paese in Europa ad avere una legge sul fine vita.
Il governo socialista di Pedro Sanchez aveva considerato prioritaria la legge sull’eutanasia: aveva già subito in passato due battute di arresto, ma questa volta, la terza, ha ricevuto un vasto consenso sociale a differenza di quanto avvenuto nel vicino Portogallo, dove la legge non è stata approvata per il mancato raggiungimento della maggioranza. Una legge sicuramente all’avanguardia da un punto di vista dei diritti sociali, che dà seguito ad altri provvedimenti, come quelli voluti da José Luís Rodríguez Zapatero: fra questi, la legge sul matrimonio egualitario e sulla giurisprudenza universale, quest’ultima poi eliminata dal governo Rajoy. Per cui, dopo il via libera nel dicembre scorso, il Parlamento della Spagna ha approvato la legge, il cui testo prevede di autorizzare sia l’eutanasia che il suicidio assistito per coloro che hanno una «malattia grave e incurabile o soffrono di dolori cronici che li pongono in una situazione di incapacità»; il paziente, inoltre, dovrà risultare cosciente e prendere decisioni «senza pressioni esterne».
La legge spagnola sull’eutanasia percorre una strada già avviata da alcuni paesi come il Belgio e l’Olanda, che inizialmente prevedevano l’accesso a specifiche categorie, a cui gradualmente se ne sono aggiunte altre: i minori, le persone depresse o con gravi patologie come l’Alzheimer. Nel tempo è diventata dunque una legge di ampio respiro: non risponde esclusivamente al diritto soggettivo e personale di poter morire, ma abbraccia i modi con cui far cessare la propria esistenza e coinvolge necessariamente la sfera affettiva/relazionale. Si vive per sé stessi ma si vive anche in relazione con gli altri, motivo per cui è una legge che indirettamente ha coinvolto anche i parenti e coloro che si prendono cura della persona di cui hanno responsabilità e ne devono interpretare la volontà. Al di là della consapevolezza rispetto alle proprie condizioni fisiche o cognitive, la decisione ponderata e irrevocabile di interrompere la propria esistenza non è un No esclusivamente volto alla sofferenza; è un No posto anche alle possibilità, alle prospettive e alle tante cose belle che potrebbero ancora accadere.
Marco Cappato è stato uno dei primi a lodare sul suo profilo Facebook la scelta del Parlamento di approvare la legge sull’eutanasia: “La Spagna legalizza l’eutanasia. Olè. In Italia siamo ancora sotto processo“. Nel nostro paese, come prospetta questa breve considerazione di Cappato, il percorso verso una legge sull’eutanasia è da sempre tortuoso, anche perché la Chiesa ritiene che “l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente”. Il problema in realtà è sempre lo stesso: si fa fatica a cogliere il senso della dignità umana minata dalla sofferenza, dal dolore, come se la cultura dominante accettasse la volontà soggettiva ma rifiutasse il dolore, la sofferenza di un’esistenza che non trova la propria dignità. Diciamo che la Spagna, con questo passo lascia una doppia porta aperta imbarazzando la cultura dominante, in quanto riconosce l’individuo anche in base alle proprie sofferenze, dandogli la possibilità di autodeterminarsi.
In Italia dopo le svariate lotte dei Radicali, primo fra tutti Marco Pannella, nel 2018 nel nostro Paese si è giunti alla legge sul testamento biologico che prevede la possibilità di decidere preventivamente i trattamenti sanitari nel caso in futuro vi dovessero essere forme di incapacità sia di consenso che di decisione. Si lascia dunque la possibilità alla persona di rinunciare alle cure – incluse nutrizione ed idratazione artificiale – per lasciarsi morire e di richiedere una terapia del dolore che possa evitare altre sofferenze psicologiche e fisiche. Sembrerebbe, questa legge, tracciare i confini del suicidio assistito, ma non è così: una persona che soffre a causa di una malattia grave non può chiedere al medico di aiutarlo a porre fine alla sua vita senza che si commetta un reato. Emblematico fu il caso di Dj Fabo che portò comunque l’Italia verso una sentenza importante, in assenza di una legge parlamentare, secondo cui è possibile per il paziente “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli” di essere aiutato a suicidarsi. Difatti Dj Fabo aveva attivato l’iniezione letale mordendo un tasto, essendo cieco e tetraplegico.
In piena pandemia la Spagna ha voluto vincere una battaglia che è l’immagine estrema di un diritto alla libertà. Chissà che l’Italia, nei prossimi mesi, non si trovi ad affrontare oltre le dinamiche economiche e gli effetti della pandemia, una questione così delicata come la dignità umana.
Bruna Di Dio