La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin e di Maria Alekseyevna Lvova-Belova, la commissaria russa per i diritti dei bambini. L’accusa avanzata ha a che fare con la messa in atto di pratiche di deportazione ai danni di minori ucraini entro i confini russi, una chiara violazione alla Quarta Convenzione di Ginevra e alla Convenzione sui diritti dei bambini, di cui la Russia stessa fa parte.
Il trasferimento forzato di bambini e bambine e il caso Lvova-Belova
Il 5 aprile scorso l’Organizzazione per la Sicurezza e la Co-Operazione in Europa (OSCE), che da anni si occupa di incentivare lo sviluppo economico attraverso un uso sostenibile delle risorse naturali e il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, ha avviato un’indagine per comprendere le procedure legate al trasferimento forzato e alla deportazione di bambini e bambine di nazionalità ucraina all’interno della Federazione Russa e delle zone del Paese dell’Europa orientale attualmente sotto il controllo degli attori dell’ex Unione Sovietica.
Sono 164 i minori, tra i quattro e i diciotto anni, che orfani o smarriti sono stati rapiti dalle regioni di Donetsk, Kharkiv e Kherson subendo esecuzioni sommarie e violenze di stampo sessuale. Il caso venne denunciato dal presidente Zelensky già lo scorso anno, nel 2022, quando mosse pubbliche accuse contro il Cremlino a causa del trasferimento non consensuale di oltre 200.000 bambini di origine ucraina, con lo scopo di far dimenticare loro la terra natia ed impedirgli di tornare a casa.
I trasferimenti sembrerebbero essere organizzati da associazioni, congregazioni ed enti governativi che operano in favore di una possibile russificazione delle province occupate. Un dato che troverebbe riscontro nelle numerose testimonianze che parlano di un programma di rieducazione forzata al quale sono sottoposti i minori deportati contro la propria volontà, ma anche nel caso della recente adozione di un ragazzo adolescente di Mariupol che ha visto coinvolta Maria Lvova-Belova, tra le figure più discusse nel panorama amministrativo russo. La commissaria, che nel corso di un incontro pubblico con il presidente Putin ha dichiarato di aver ottenuto la custodia del ragazzo, è una giovane donna ultraortodossa di trentotto anni, moglie di un uomo religioso e madre di ben ventitré figli, di cui cinque biologici.
Per il Cremlino non si può parlare di deportazioni né di crimini di guerra
La gravità della situazione in atto ha spinto la Corte a rendere noti i mandati di arresto nei confronti del capo del Cremlino e della dirigente della Commissione per i diritti dei minori. Stando a quanto asserito dalle autorità russe non si tratterebbe della perpetuazione di un crimine di guerra, ma di un’operazione di salvataggio volta alla tutela di bambine e bambini abitanti entro zone di combattimento; un progetto che non esclude la possibilità di un futuro ricongiungimento delle minori e dei minori con le famiglie naturali.
Lo studio dell’Università di Yale
Maggiori dettagli arrivano dal centro di ricerca umanitaria dell’Università di Yale – New Heaven, Connecticut – dove è stato avviato uno studio incentrato sul programma finanziato dalla Russia e volto all’indottrinamento e all’adozione dei minori ucraini. Le strutture messe a disposizione dal governo per l’esilio – campi ricreativi, centri di rieducazione filo-russi e di addestramento militare – sono situate nelle vicinanze del Mar Nero, nella Crimea occupata, nei pressi delle città di Mosca, Kazan ed Ekaterinburg, ma anche al confine tra Ucraina e Russia, in Siberia e nell’estremo oriente russo.
Il trasferimento passa da forme di coercizione attuate contro le famiglie naturali, alle quali viene garantito il ritorno dei propri figli e delle proprie figlie entro la fine dell’estate, ma trascorsa la stagione non viene comunicata loro alcuna informazione circa lo stato dei minori, né il luogo di permanenza.
Un’operazione che vanta la cooperazione del governo federale russo e di federali regionali e locali che si occupano delle raccolte di fondi necessari al finanziamento del progetto, del trasporto di bambini, della presa in carico di rifornimenti necessari alla cura delle personalità in esilio – ma testimonianze affermano che le vittime deportate sono costrette ad indossare vestiti sporchi, che ai bambini e alle bambine disabili non vengono concesse le cure mediche adeguate –, gestione diretta del campo, promozione del programma in Russia e nelle aree occupate dell’Ucraina.
Il rapporto Lvova-Belova sullo stato dei bambini deportati
Un rapporto recentemente diffuso dall’ufficio di Lvova-Belova ha reso noto che a partire dal 29 marzo sedici bambini appartenenti a nove famiglie si sono riuniti con i propri parenti ucraini. Non è stato tuttavia reso noto l’elenco completo relativo al numero dei minori confinati entro i campi di concentramento.
Arianna Lombardozzi