Colori, magia, confusione, baldoria, feste e balli, risa e gioia. Il Carnevale per tradizione è un giorno di eccessi e goliardia, un momento unico, in cui ognuno di noi può dimenticare lo stress quotidiano, indossare una maschera e capire sul serio quanto Pirandello avesse ragione: un vestito più sfarzoso, un trucco pesante e qualche luccichio in più ti spogliano dalla divisa seriosa che ci fa da scudo per 364 giorni l’anno.
Il suo carattere brioso risale alle sue antichissime radici. Il Carnevale infatti era una festività tutta pagana, celebrata il 2 febbraio di ogni anno dalle popolazioni nordiche. Simbolicamente rappresentava l’inizio di una nuova vita, l’inizio della primavera e l’augurio che tutto sarebbe andato al meglio da quel momento in avanti. Era quindi la festa della Grande Dea Brigantia, la Madre Universale, associata alla Natura. La festa durava sette giorni, trascorsi tra musica, risate e danze.
Quest’esemplare esempio di irrefrenabile bramosia ed eccessi che ricorda forse un po’ la tradizione baccanale non poteva non influenzare la nostra realtà culturale e letteraria.
Nel 1968 lo studioso russo Michail Bachtin ha dedicato un saggio a Dostoevskij in cui attraverso una originale e magistrale analisi stilistica, individua le categorie essenziali della «poetica» dostoevskiana e coglie la novità di questo mondo narrativo nella «polifonia», nell’insubordinazione delle «voci» dei personaggi a una cristallizzata concezione del mondo a esse estranea.
Un concetto più volte ripreso dallo scrittore è proprio quello carnevalesco, di cui egli ci offre una particolare spiegazione tramite collegamenti di tipo letterario\mitologici. Bachtin crea un nodo sinaptico che ha il suo centro nel “sentimento carnevalesco del mondo”. Inizia il suo excursus da epoche remote descrivendo la società classica e le sue opere di carattere serio-comico come la satira menippea, la memorialistica e il dialogo socratico. Tutte hanno delle caratteristiche in comune che ricordano il cambiamento perpetuo, la metamorfosi, il ribaltamento in chiave comica o meno dei ruoli, la contemporaneità, il carattere satirico rivolto ad un’attenta critica sociale. Il tutto si basa quindi sulla vita, il colore, il variare degli eventi o il desiderio di un loro colpo di coda. I personaggi sono quindi di libera invenzione e lo stile è per lo più eclettico, in modo da miscelare caratteri alti, bassi, infimi, come se la Divina Commedia puntasse i piedi e miscelasse le sue tre cantiche. Lo stesso autore si diverte a camuffarsi, mostrandosi al lettore dietro maschere differenti. Il tema principale è quindi il rovesciamento dei ruoli, in modo che non ci sia mai una netta divisione tra esecutore, vittima e spettatore. Non a caso per tradizione viene incoronato un re del carnevale, solo per essere deriso e detronizzato alla fine dei festeggiamenti, magari dopo qualche attimo di vana gloria. La letteratura assume caratteri ambigui e duplici e ogni tipo di pensiero, pregiudizio, credenza è pronto ad esser sminuito per poi ricostruirsi forse più forte di prima. Un’altra categoria è quella della profanazione fisica e corporale, gastronomica, religiosa.
L’intera festa aveva luogo nelle piazze, luoghi di incontri, in genere confusionari, di colore locale. È uno spazio aperto privo di limiti e di barriere in cui l’uomo può agire liberamente, diventando così una sorta di teatro naturale guidato da un destino cieco. Uno dei temi principali derivanti dalla satira menippea è la comparsa della sperimentazione psicologico-morale, un mondo che nel passato è stato esplorato ben poco, ma che sin dall’inizio ha affascinato autori e spettatori. La passione, il suicidio, la sofferenza, il desiderio, la psiche umana è tanto variegata da non poter essere realmente compresa e quindi lo spettacolo o l’opera letteraria iniziò a basarsi sul soliloquio o sul dialogo libero. Chi meglio del personaggio in sé può spiegare cosa ha dentro? Epitteto, Marco Aurelio e sant’Agostino sono i maestri indiscussi di questa discesa nel profondo dell’anima.
Con il tempo sono stati numerosi gli scrittori che hanno deciso di far proprio questo tema.
Lo stesso Svevo initolò “Il Carnevale di Emilio” l’opera che poi passò nella storia come “Senilità”, ma è opportuno ricordare soprattutto la figura di Luigi Pirandello. Tutti i suoi personaggi sono deformati, rinchiusi in una prigione, una maschera da cui non riescono a fuoriuscire . il loro è un travestimento scomodo che li illude, li fa sentire sereni, a posto col mondo, ma gli sta privando della vita. La maschera si sgretolerà e la finzione sarà pronta a mostrarsi a quel vero io che ormai non si ricorda più come si vive, troppo abituato a nascondersi e ad autoconvincersi che vada tutto bene, anche se si è sempre in pausa, a che serve premere il tasto play? Non a caso essi sono descritti come rigidi, dei cadaveri col loro rigor mortis: sono riusciti addirittura a beffare l’ordine naturale degli eventi, i morti vivono, i vivi non esistono, o almeno esistono solo perché c’è la loro firma su un pezzo di carta (basti pensare a Mattia Pascal). Pirandello ribalta quindi l’antico al carnevale, la realtà con la finzione, l’arte alla vita.
Alessia Sicuro