C'è ancora domani: lo schiaffo di Paola Cortellesi alla violenza di genere
C'è ancora domani: lo schiaffo di Paola Cortellesi alla violenza di genere

Sta facendo giustamente parlare di sé l’opera prima di Paola Cortellesi: “C’è ancora domani”, che in una sorta di strana coincidenza sta contribuendo in modo esponenziale all’apertura di occhi ancora serrati sulla violenza di genere nel nostro Paese, a pochi giorni dalla ricorrenza del 25 novembre.

Tanto crudo quanto irriverente, il film è già campione di incassi, classificandosi al terzo posto del 2023 (dopo “Barbie” e “Oppenheimer”), e sembra aver lasciato tutti piacevolmente senza parole; eppure, c’è chi ancora sostiene che il salto da attrice a regista sia corto, ma in realtà questa percezione è solo merito della bravura di Paola Cortellesi e della sua estrema versatilità, variabile in ogni suo lavoro. Qui la vediamo nelle vesti di una donna romana del dopoguerra, con l’unico scopo di essere il satellite degli uomini della sua famiglia: suo marito, suo suocero e i suoi figli.

Nell’immediato dopoguerra, infatti, i problemi che le donne si trovarono ad affrontare furono numerosissimi e gravissimi, basti pensare alla necessaria nascita delle prime associazioni femminili (UDI, CIF, Movimenti femminili dei partiti). Dai dati traspare che alla Resistenza parteciparono circa 35.000 donne, delle quali moltissime (2.750) vennero fucilate. A 15 di esse si assegnò la medaglia d’oro. Ma oltre ai dati oggettivi, oltre alle storie di resistenza e di estremo coraggio di donne – nostre ave, eroine e icone – ci sono anche storie che non hanno avuto la stessa risonanza e che sono state vissute in austero silenzio, nell’ombra.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la situazione femminile si è scissa in due strade differenti: da un lato le donne avevano svolto un lavoro di estrema importanza durante l’assenza degli uomini impegnati nella guerra, ma dall’altro lato, una volta terminato il conflitto, le stesse si videro costrette a tornare ai ruoli preimposti dalla società patriarcale: quelli di mogli, madri e angeli del focolare. Storie di donne (soprattutto dal centro Italia al meridione, ma non solo) che non hanno avuto la fortuna di poter far sentire la propria voce. Sono le storie delle nostre nonne e bisnonne: donne che hanno vissuto “come era giusto” e questo dalla pellicola, appare limpido ai nostri occhi.

Ma ci sono occhi in questo nostro bel paese, che ancora sono ben serrati di fronte alla violenza di genere, orecchie chiuse e sottostima del problema – ancora odierno – della cultura patriarcale. Perché sì, c’è chi ancora oggi sostiene che quello che noi chiamiamo “patriarcato” sia un’accezione esagerata e del tutto ingiusta: passata di moda, insomma. Si ha ancora oggi la percezione che la supremazia di genere sia un concetto opportunistico di alcuni femminismi, una bieca scusa per far parlare e per dare la colpa “all’uomo cattivo”. E invece, è opportuno far presente, che la fallocrazia sia ancora oggi un problema impestante la nostra società. Lo si vede dallo sminuire della violenza (psicologica e fisica), dallo stesso nuovo nato hashtag “#notallmen” che ci tiene a sottolineare l’ignoranza e l’estremo soggettivismo di chi ritiene di non dover chiedere scusa proprio a nessuno. Hashtag e specchio rassicurante per tutta la categoria maschile, che si è sentita offesa e non colpevole, tanto da doverlo evidenziare a tutti i costi.

Non si tratta solo di negazionisti affiatati, di ciò che avvenne ieri come avviene oggi e avverrà anche – e purtroppo – domani, ma una vera e propria convinzione, purtroppo a volte anche di alcune donne, che queste lotte contro la violenza di genere non servano ad altro se non a montare la testa delle donne oramai troppo esagerate nei modi di fare…facendoci venire quasi i brividi nel dire, forse “troppo libere”. È giusto quindi riportare l’attenzione sull’attento e magistrale lavoro di Paola Cortellesi, sull’accuratezza nella sua rappresentazione di una donna avvilita, con l’unico scopo d’essere il prolungamento del suo uomo, ma che comunque ha ancora delle sue speranze, dei suoi sogni.

Ad oggi la violenza non si ferma, e la società non dà cenno alcuno di cambiamento. Lo vediamo dai dati: 106 sono state le donne vittime di femminicidio ad oggi. Però è anche giusto dire che dalle vicende degli scorsi giorni, in particolare per quanto riguarda l’omicidio di Giulia Cecchettin, sia nata una scintilla. Facendo sperare che la sua morte, come quelle di tutte le altre donne vittime di violenza, non siano state invano.

Molti occhi quindi si stanno aprendo, anche grazie a Paola Cortellesi, di fronte all’ingiustizia di chi si è fino ad ora arrogato il permesso di porre fine ad una vita “meno meritevole”. I cambiamenti sembrano arrivare anche dall’alto e si spera che questa possa essere una soluzione efficace. Si parla di una legge: il “Ddl Roccella” composta di diciannove articoli volti alla prevenzione e al potenziamento delle misure cautelari per le vittime, legge già approvata dal senato. Ma tutto ciò, anche se può quasi sembrare un paradosso, non basta. Il problema, come molti hanno constatato, è necessario scardinarlo sul nascere. Ed è per questo che si è anche pensato ad un programma di “educazione alle relazionida avviare nelle scuole e che, benché accompagnato da alcune turbolenze, ci si augura di poter vedere presto realizzato.

Non sbagliamo quindi nel dire che Paola Cortellesi ha letteralmente dato voce a quelle donne che una voce non l’hanno mai avuta. Dando spazio a storie di cui tutti sapevano e di cui allo stesso tempo nessuno osava parlare. È giusto quindi sperare insieme alle nostre sorelle, ai nostri fratelli, che ci sia ancora un domani per cambiare quello che fino ad oggi è sempre stato alla luce del sole, nella comoda indifferenza di chi ha sempre sminuito un problema mai estirpato: quello della violenza di genere… insieme alla speranza di un cambiamento concreto per tutte.

Giulia Costantini

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