Non chiamatelo maltempo. Venezia nell'era della crisi climatica e politica
Fonte immagine: Repubblica

Italiani, popolo di poeti, di artisti, di eroi, di allenatori e di ingegneri idraulici. Ebbene, una delle notizie che sta giustamente dominando il dibattito negli ultimi giorni è lo stato di acqua alta o alluvione – e sarebbe più corretto il secondo termine – in cui la città di Venezia e l’intera laguna sono piombate dalla serata del 12 novembre: come è ormai noto, intorno alle 22:50 il centro Maree del Comune ha fatto registrare un picco di 187 cm sul livello medio del mare, seconda acqua alta mai registrata e di poco inferiore al record di 194 cm che si toccò durante la storica alluvione del 1966. Si sono registrati due morti nell’isola di Pellestrina e secondo le stime l’85% della città è finito sotto la marea, sospinta dai venti di scirocco fino a 100 km/h. La situazione non è migliorata nelle ultime ore e, oltre ai danni economici, c’è preoccupazione per il vastissimo patrimonio culturale a rischio: come riferisce Artribune, ad essersi allagata non è stata solo la Basilica di San Marco, ma anche il teatro La Fenice, l’Università Ca’ Foscari, tante chiese e Ca’ Pesaro – Galleria internazionale di arte moderna, dove c’è stato anche un principio di incendio. Chi salverà Venezia?

Non solo MO.S.E., non un caso isolato

La situazione critica della Serenissima non cambierà nei prossimi giorni, con le previsioni che preannunciano ancora picchi massimi oltre i 105 cm. Ma non si tratta di un fenomeno localizzato nella laguna veneta: eventi simili a Matera, dove le strade dei Sassi si sono trasformate in fiumi, o nel Salento, dove una violenta tromba d’aria si è abbattuta su Porto Cesareo, affondando decine di barche e sradicando muri e pontili. In generale, tutta Italia continua ad essere scossa da venti fortissimi, alberi abbattuti, allagamenti e voragini per le strade. A Napoli, sul litorale laziale, in Alto Adige, in Toscana: possono sembrare temi locali e spesso i singoli Comuni vengono considerati i soli responsabili per la scarsa manutenzione, ma la realtà è quella di un dissesto idrogeologico che non ha mai abbandonato l’Italia intera: un tema nazionale che continua a essere ignorato, abbandonando sindaci e comunità locali al loro destino.

È per questo che appare surreale il dibattito ambientale che si è sviluppato attorno al tema. Emergenza, calamità naturale, maltempo. Allerta rossa! Scuole aperte? Scuole chiuse? I negazionisti climatici inneggiano all’ennesima battaglia ai “gretini”. C’entra il cambiamento climatico? No? Ma se a Bergamo nevica!

Ci si costerna, si parla e straparla. Per la verità quasi solo di Venezia, che diventa uno splendido simulacro delle trame profonde che dividono l’Italia e devastano i territori: la città vive su un equilibrio fragilissimo con l’ambiente naturale, come tante lungo la penisola. E l’equilibrio, dopo secoli, è stato compromesso dal turismo di massa, dalla disneyficazione del centro storico, dalle navi da crociera nel canale della Giudecca, prima ancora che dall’acqua alta.

A denunciarlo è lo stesso Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che aveva già vissuto l’alluvione di La Spezia del 2011: “Venezia ha bisogno di una politica nuova e di un modello diverso di sviluppo”, ricorda in un’esclusiva a Repubblica. “Deve ritornare una polis, una città per gli uomini. Non può restare una Disneyland svenduta ai turisti. Anche in queste ore registro un drammatico scollamento tra le istituzioni e il Paese reale. Questo luogo unico, simbolo estremo di una bellezza a disposizione del mondo deciso a rimanere umano, oggi ha il diritto di conoscere date certe e percorso chiaro del proprio destino”.

È un accorato atto di accusa alla politica italiana, quello del Patriarca: la politica tutta, sempre più lontana da una reale attenzione ai temi del vivere comune. Sempre meno politica, letteralmente. E a dimostrarlo plasticamente è la discussione demagogica che si è scatenata sul MO.S.E.: oggi tutti sembrano accorgersi dei 5,5 miliardi finiti nel contestatissimo progetto, ad ora mai completato e con una gigantesca inchiesta per corruzione sulle spalle del Consorzio Venezia Nuova. Anche chi avrebbe dovuto vigilare sui lavori e ne ha immediate responsabilità, quantomeno politiche: come il governatore del Veneto, Luca Zaia, che ha definito il MO.S.E. uno scandalo nazionale, chiedendo perché non sia ancora in funzione.

Lo stesso ha fatto Matteo Salvini, che non poteva mancare di promettere un miliardo di euro a caso, dopo i 5,5 gettati nel pozzo di un’opera che forse non serve o non basta. Tanto non è al Governo. Serve a dire: visto che il PD e il M5S non lo fanno? Propaganda sulla pelle della città.

Una doppia crisi affonda Venezia

Ed ecco perché le parole di Zaia hanno fatto indignare, per almeno due ragioni. Come da anni denunciano gli studiosi e come riportato anche su Nature, l’opera che dovrebbe salvare Venezia nasce già obsoleta, progettata in un’epoca in cui poco si parlava di cambiamenti climatici e di tutela degli equilibri naturali. Secondo Luigi D’Alpaos, ingegnere ambientale dell’Università di Padova, “il problema non è la struttura in sé, ma il numero di volte che le paratoie dovrebbero essere alzate, mentre il livello del mare sale e la frequenza di maree eccezionalmente alte aumenta”.

Venezia clima
MOSE, bocca di porto di Malamocco (ANSA / Consorzio Venezia Nuova)

Già. Con un innalzamento del livello del mare di almeno 50 cm nei prossimi decenni – stando all’ultimo rapporto dell’IPCC – la laguna rimarrebbe chiusa fino a 187 giorni all’anno: secondo i ricercatori, la conseguente riduzione di ossigeno provocherebbe un rapido calo delle popolazioni dei pesci e di molte specie di uccelli che nidificano nella zona. “Per salvare la laguna, dovremmo aprire le paratoie, eliminando l’unica barriera contro le inondazioni”, dice D’Alpaos. Morte della laguna o della città? È questa la scelta a cui sembra costringere il MO.S.E., rompendo una sinergia secolare.

In più, sia Zaia che l’ex ministro dell’Interno sono entrambi esponenti della Lega che governa da circa 20 anni la Regione, sbandierando prima il tema dell’indipendenza veneta dall’Italia e poi quello dell’autonomia: l’efficientissimo Veneto contro Roma ladrona e il Sud tangenti e camorra da abbandonare, è stata questa la narrazione retorica in quei territori, che ha spaccato e continua a dividere l’Italia. Lega che sosteneva anche Galan, il vecchio governatore del centrodestra condannato per corruzione proprio per gli appalti del MO.S.E., come veneti sono molti dei condannati per tangenti stimate in oltre 500 milioni di euro. Naturalmente non si tratta di mancare nella solidarietà a Venezia, ma fa sorridere che, come da tradizione, si cerca il colpevole (a Roma) e non c’è mai nessun responsabile. La situazione politica italiana come sempre è grave, ma mai seria.

Venezia MO.S.E.
Fonte: Centro Maree Comune di Venezia.

E in questo intreccio di trame locali e globali, alla crisi politica si accompagna quella climatica, tema che larga parte dei partiti continuerà a negare fino alla morte. Se è vero che non possiamo ancora stabilire con certezza quali singoli eventi siano riconducibili ai cambiamenti climatici, sappiamo anche che tali fenomeni sono e saranno sempre più frequenti e forti in intensità. I dati del Centro maree del Comune di Venezia sulla distribuzione decennale delle acque alte, mostrano chiaramente un incremento netto del fenomeno: tra il 1872 e il 1969 si sono registrati 74 eventi di alta marea sopra i 110 centimetri, più o meno lo stesso numero di quelli che si sono contati solo negli ultimi 10 anni (69 tra il 2010 e il 2019, com’è ovvio stime ancora parziali).

Sappiamo anche che l’Italia sarà sempre più un vero hot spot dei cambiamenti climatici e, oggi più che mai, di essere terribilmente impreparati. Oggi Venezia, Matera, il Salento. Ieri Genova, le Cinque Terre, la Lunigiana, la Sicilia, la Calabria, il Sannio. I boschi distrutti appena un anno fa nel Triveneto, con raffiche di vento fino a 200 km/h. Venezia non è che il cristallo più fragile e famoso, in un gioco di specchi in cui i danni e i morti di oggi sono quelli di ieri e forse di domani. Smettiamola di chiamarlo maltempo.

Antonio Acernese

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