Alla fine Werner Faymann non ha retto il carico di accuse provenienti da dentro e fuori i suoi socialdemocratici, e il 9 maggio si è dimesso dalla carica di Cancelliere, rinunciando inoltre alla leadership del partito.
Per quanto da qualche tempo a questa parte la sua figura ottenesse sempre minore consenso tra la popolazione austriaca, un passo indietro di tale importanza è stato comunque inaspettato, e apre le porte a scenari politici impensabili fino a un anno fa.
Al ballottaggio delle elezioni presidenziali che si svolgerà il 22 maggio si preannuncia una chiara vittoria del candidato di estrema destra Norbert Hofer, con il suo Partito della Libertà (FPÖ) che al primo turno del 24 aprile ha ottenuto il 36,4% dei voti.
I Verdi, la formazione politica che affronterà Hofer, dovrebbero recuperare uno svantaggio di ben 16 punti percentuali per scongiurare la vittoria degli estremisti xenofobi, una rimonta che al momento non sembra possibile.
Sia i Socialdemocratici (SPÖ) che il Partito Popolare (ÖVP) hanno ottenuto invece l’11,2% dei consensi, e sono rimasti dunque fuori dai giochi per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Sono questi infatti i partiti storici della politica austriaca, quelli che alleandosi secondo diverse formule hanno da sempre governato il paese.
La clamorosa sconfitta politica dell’Spö non rappresenta però la causa unica della scelta netta di Faymann, che, come egli stesso ha confermato nella conferenza cornice delle dimissioni, ha sofferto soprattutto una «mancanza di sostegno» interno, e le numerose contestazioni di giovani e sindacati contro la sua politica sulle migrazioni, mutata radicalmente dal momento della sua elezione ad oggi.
Se si volessero riassumere in una istanza unica tutte le concause del suo dietrofront, questa sarebbe l’inarrestabile flusso migratorio che negli ultimi due anni sta investendo l’Europa, o forse, più correttamente, la confusione generale con cui l’Unione Europea sta affrontando il problema.
Werner Faymann è l’uomo che a febbraio ha autorizzato la sospensione del Trattato di Schengen nel territorio austriaco, l’uomo che ha sigillato il confine con la Slovenia concorrendo alla quasi-chiusura della rotta balcanica, ed è colui che in tempi recenti stava per avvallare la chiusura definitiva del valico del Brennero, poi cancellata o rimandata dopo un vertice tra il ministro degli interni italiano e quello austriaco. Soluzioni certamente lontane dall’idea di socialdemocrazia del suo elettorato, ispirate da un disperato spirito di emulazione verso le posizioni xenofobe dell’estrema destra, in questo momento le più popolari.
Un’emulazione sconsiderata pagata con il deludente risultato del 24 aprile, ed ora con le sue dimissioni. La base elettorale del suo partito ha espresso così il proprio sconcerto, e allo stesso modo molti votanti del Partito Popolare hanno deciso di unirsi alla causa del Partito della Libertà, con un voto che da molti analisti austriaci è stato definito di protesta.
Il cambio di rotta di Faymann è stato considerato inaccettabile, le restrizioni attuali mal si rapportavano con il primo approccio del cancelliere alla crisi migratoria, quell’accoglienza forse anche sconsiderata che aveva fatto però dell’Austria lo stato alleato della Germania in ottica della promessa redistribuzione degli arrivi.
Il problema è che quella redistribuzione non è mai avvenuta concretamente, a causa dell’indisponibilità a trattare di numerosi membri dell’Unione, e la politica dell’accoglienza austriaca, senza un supporto comunitario, non ha retto di fronte alla retorica xenofoba dell’Fpö, o almeno così è sembrato a Faymann.
Ecco che dunque la virata nazionalista del governo austriaco oltre che come una ingenua operazione di marketing politico e una manifestazione evidente di incoerenza, si potrebbe definire anche come in parte dettata dalla inadeguatezza della dirigenza europea nell’affrontare la questione migranti.
Dopo la nomina ad interim di Reinhold Mitterlehner, sembra che in queste ultime ore la scelta del nuovo Cancelliere sia ricaduta su Christian Kern, il presidente della compagnia ferroviaria nazionale. Un nome gradito agli alleati del Partito Popolare, e che potrebbe essere quello buono per sfatare l’unico tabù ancora vigente in epoca Faymann: la negoziazione politica diretta con il Partito della Nazione.
Valerio Santori
(@santo_santori)