Una nuova gamma di dispositivi per diagnosi farmacologiche e mediche non invasive e precoci sta venendo alla luce; si parla di strumenti che pongono alla base del proprio utilizzo l’emissione e la ricezione di segnali di varia tipologia, come nel caso delle nanoantenne.
Un passo in avanti in questo senso è stato compiuto nelle scorse settimane, tramite la pubblicazione dei risultati delle ricerche in questo campo realizzate dai ricercatori del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano.
La base della ricerca è stata impostata sull’utilizzo di nanoantenne sensibili alla luce e gli sviluppi hanno portato a notevoli applicazioni per la diagnosi di malattie come il cancro o il diabete di tipo I. Le nanoantenne potrebbero essere integrate all’interno di dispositivi compatti di rilevazione attivabili tramite quantitativi di materiale biologico (il sangue, ad esempio) minimi.
All’interno di queste strumentazioni, le nanoantenne sono chiamate a emettere e ricevere dei segnali ottici, per poi riportare eventuali variazioni nelle caratteristiche degli stessi segnali alla presenza di concentrazioni di marcatori tumorali o comunque a variazioni indesiderate dei parametri biologici del corpo. Gli esiti del lavoro dei ricercatori meneghini è stato pubblicato recentemente su Nature Technology, dopo essere stato portato avanti in collaborazione con l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR e con le Università di Brescia e Würzburg in Germania.
Ancora una volta, quindi, la luce trova un’interessante applicazione come strumento di indagine sia nella diagnostica farmacologica che in quella medica, grazie soprattutto alla bassa invasività; a tal proposito, è bene ricordare che il Premio Nobel per la Chimica è stato conferito a Betzig, Hell e Moerner, autori di pubblicazioni fondamentali per lo sviluppo di tecniche di microscopia in grado di rivelare e identificare tessuti biologici fino al dettaglio della singola molecola.
La tecnica ideata dai tre scienziati premiati prevede l’utilizzo di molecole artificiali capaci di legarsi al tessuto sotto analisi e di emettere luce (per fluorescenza), mettendo in evidenza le caratteristiche dello stesso tessuto al quale si sono legate e superando i risultati ottenibili attraverso i microscopi più avanzati. Risulta quindi evidente come il processo di Betzig, Hell e Moerner sia ideale per l’analisi di volumi di tessuto molto piccoli, per i quali le applicazioni al microscopio risultano difficoltose a causa della minima interazione dei volumi di materiale biologico con i fotoni.
Alessandro Mercuri